Traversata della Croda Rossa da E a O, per la grande cengia N della Crodaccia Alta (con apertura della nuova via “Valleferro-Ganeo”!)

DIFFICOLTÀ COMPLESSIVA: EEA+. Salita del crinale tra la Crodaccia Alta e la Crodaccia: PD. Salita dalla cengia N della Crodaccia Alta sino alla forcella tra la Crodaccia Alta e la Croda Rossa Pizora: D-. Discesa dalla forcella alla Val Montesela: AD.

Traversata alpinistica fisicamente impegnativa, pressoché priva di indicazioni (bolli ed ometti), su roccia talvolta marcia; necessità di alternare progressione in conserva con soste da allestire con chiodi/friend, affrontando passaggi fino a III+ (non v’è presenza di spit).

DISTANZA: 15 km – DURATA: 9 h – DSL: 950 m D+

DATA: 6 settembre 2023

Premesse

È da un anno e mezzo che accarezzo l’idea di questa imponente traversata alpinistica, studiandone con emozione e cura tutti i più piccoli dettagli. Un itinerario in uno degli ambienti più remoti delle Dolomiti, che presenta innumerevoli incognite. In primo luogo, la traversata della grande cengia N che, a quota 2600m ca, congiunge la Crodaccia Alta con la Piccola Croda Rossa. Nessuno mai pare ve ne abbia accennato in alcuna sede. Interpellato il Maestro Fabio Cammelli a riguardo, ha dichiarato di non aver mai percorso la cengia in questione. In secondo luogo, ma solo per criterio cronologico, l’ascesa della parete che sovrasta la cengia, sino a raggiungere la forcella tra la Crodaccia Alta e la Piccola Croda Rossa… e la discesa sul versante opposto di Val Montesela (Ra Montejela). Nessuna relazione di tale itinerario è stata rinvenuta. A posteriori, infatti, posso confermare che trattasi sicuramente di una prima, che per semplicità ed in onore agli usi passati chiameremo “Valleferro-Ganeo”, auspicando di aver contribuito ad offrire un piccolo e modesto tassello alla storia alpinistica della Croda Rossa. Come in occasione dell’apertura della via “Cristallino Ovest” (vedi relazione), mi sento di esprimere le considerazioni che seguono, anche prevedendo ed anticipando i commenti di eventuali detrattori di per certo più competenti dello scrivente: 1) la via “Valleferro-Ganeo” non è la via più diretta e veloce per giungere alla forcella collocata tra la Crodaccia Alta e la Croda Rossa Pizora… anche perché in forcella non ci arriva nemmeno 😉 Conduce, infatti, in cresta, ca 170 m a O, in una posizione più elevata di ca una ventina di metri rispetto alla quota di forcella; 2) la via “Valleferro-Ganeo” non è la via più semplice per giungere sulla cresta che congiunge la Crodaccia Alta con la Croda Rossa Pizora. La via, infatti, si sviluppa per ca 280 m, da affrontare prevalentemente in arrampicata. Esiste, invece, una soluzione di salita alla cresta (NON alla forcella) apparentemente più agevole; la descrive Paolo Beltrame:

Da qui esiste una facile via di fuga che permette di raggiungere l’itinerario che collega la malga Stolla alla m.ga Cavallo [nda: Rossalm] (ovviamente questa via può venir percorsa anche in salita da chi vuole evitare la lunga cresta proveniente dalla Piccola Croda Rossa). Si scende per ghiaie in versante Nord e si imbocca, ben visibile dall’alto, una cengia ghiaiosa che, verso sinistra, conduce al crinale proveniente da La Crodetta.

Paolo Beltrame, 101% Vera Montagna – Dolomiti/Croda Rossa d’Ampezzo, Michele Beltrame Editore, 2008, pag. 147.

In conclusione, la traiettoria della via “Valleferro-Ganeo” è stata determinata sulla scorta di un attento esame della parete svolto in loco, alla base della parete, e non sulla cresta, prediligendo una linea che solcasse rocce sane e compatte anziché marci pendii detritici. Compagno di questa avventura sarà l’abile ed esperto Edoardo, con il quale ho già avuto il privilegio di condividere molte avventure e l’apertura di una nuova via.

Relazione dell’itinerario

Lasciamo l’auto nei pressi del Rifugio Pratopiazza (2000 m) ed imbocchiamo il sentiero n. 3 fino a giungere nel Cadin di Crodaccia (da me così nominato in occasione di precedente esplorazione con l’amico Paolo), conchiuso tra le strapiombanti pareti della Crodaccia Alta le franose rupi della Crodaccia. È chiaramente possibile raggiungere questo Cadin anche per altra via, da Cimabanche ovvero per il Troi de Milezinque (vedi relazione). Traversiamo quindi il Cadin di Crodaccia, mirando alla sella dove le compatte lastre della Crodaccia Alta si incuneano dentro la marcia e rossastra roccia della Crodaccia (fig. 1). Le ripide ghiaie risultano piuttosto stabili e risaliamo sino alla base della Crodaccia, dove una modesta cengetta, che diparte da una rossa terrazza panoramica (fig. 2), ci consente un incedere più agevole verso il bicolore canale di risalita (fig. 3).

fig. 1 – Il Cadin di Crodaccia e la traiettoria da tenere
fig. 2 – La rossastra terrazza panoramica sovrastante il Cadin di Crodaccia
fig. 3 – Approdati sul canale di risalita “bicolor”: sulla destra, il marcio rossastro della Crodaccia e sulla sinistra la compatta roccia della Crodaccia alta

Appena approdati sulla solida roccia della Crodaccia Alta, ci attende una divertente progressione sui grigi e levigati lastroni che, con una pendenza di circa il 45%, si innestano letteralmente dentro la terrosa materia della Crodaccia (fig. 4). È davvero singolare che due montagne appartenenti allo stesso gruppo possano mutare così drasticamente geomorfologia, a così breve distanza (fig. 5)… ebbene, questa è la Croda Rossa!

fig. 4 – La progressione sui lastroni della Crodaccia Alta nei pressi della forcella tra Crodaccia Alta e Crodaccia
fig. 5 – Il lembo detritico e rossastro, spigolo estremo della Crodaccia, si “appoggia” morbido sulle solide grigie rocce della Crodaccia Alta

Procediamo con attenzione sui lastroni inclinati, sfruttando le generose fenditure che ci permettono di eseguire una divertente arrampicata (fino a II) (fig. 6 e 7), fino a che un settore dello spallone più gradonato smorza la pendenza e ci consente di tornare bipedi. Dalla Crodaccia, un camoscio ci osserva incuriosito… quante persone avrà mai visto su questo crinale!?! Intercettiamo anche un ometto, segnavia dell’itinerario di ascesa della Crodaccia Alta, e lo superiamo, tenendoci leggermente sulla destra, giungendo ora sulla sommità dello spallone, in un settore quasi pianeggiante (fig. 8). Nell’assoluto silenzio di questi luoghi inviolati, il nostro passaggio spaventa una lepre selvatica, che salta elegantemente tra le rocce: una vera e propria lepre montanara, a 2600 m di altitudine!!!

fig. 6 – La divertente progressione sui lastroni
fig. 7 – Sempre risalendo i lastroni
fig. 8 – Sulla sommità dello spallone che congiunge la Crodaccia Alta con la Crodaccia

Siamo ora finalmente in vista della cengia (fig. 9): la tanto agognata cengia N della Crodaccia Alta. È da un anno e mezzo che me la figuravo… me la immaginavo più stretta ed inclinata. È invece un cengione enorme (fig. 10), e nella prima sezione ospita addirittura due piccoli catini. Traversiamo quindi questa distesa lunare, pressoché pianeggiante, con grande fatica nell’incedere, camminando su grandi ed instabili rocce (fig. 11).

fig. 9 – Ecco la cengia nord della Crodaccia Alta
fig. 10 – Alla faccia della cengia 😉
fig. 11 – Camminare su questa superficie è un incubo!

Ci si dirige quindi alla base di uno sperone roccioso, là dove la cengia si restringe ed inizia a declinare verso il crinale de La Crodetta. Questo è il punto di attacco della nuova via “Valleferro-Ganeo”, a quota 2630 m ca, facilmente individuabile in quanto pochi metri a valle di una rientranza nella parete causata da un distacco di roccia (fig. 12). Il primo tiro ci porta a risalire il crinale dello sperone roccioso, su roccia marcia e terreno detritico, fino ad un robusto pinnacolo dove il primo di cordata può dare volta per assicurare sé stesso ed il secondo (fig. 13).

fig. 12 – L’attacco della via “Valleferro-Ganeo”, quota 2630 m, subito a valle della caratteristica rientranza nella parete
fig. 13 – Il primo tiro risale su rocce incerte fino ad un robusto pinnacolo

Il secondo tiro attacca la parete frontalmente e si sviluppa in verticale, per ca una ventina di metri (fig. 14). La roccia è ora compatta e sicura e l’arrampicata più aerea. Superata la parete, si giunge su una comoda cengia dove non mancano solide rocce sulle quali allestire una sosta (fig. 15) e dalla quale si può apprezzare nella sua interezza la cengia N di Crodaccia Alta poco prima percorsa (fig. 16).

fig. 14 – Il secondo tiro
fig. 15 – La comoda cengia dove allestire la sosta per il secondo tiro
fig. 16 – La grande cengia N di Crodaccia Alta

Il terzo tiro da 30 m ci porta a spostarci verso destra, su una parete più poggiata e sempre di solida roccia (fig. 17 e 18), fino a raggiungere una ripida parete gradonata dalla quale già distinguiamo la stretta sella che andremo a raggiungere (fig. 19).

fig. 17 – Con il terzo tiro deviamo verso destra
fig. 18 – Gli ultimi metri del terzo tiro
fig. 19 – Dall’arrivo del terzo tiro, già notiamo la sella che andremo a raggiungere, sulla destra

Procediamo ora in conserva, traversando il costone della parete su mobili ghiaie (fig. 20), fino a raggiungere una selletta terrosa, con tanto di ometto (fig. 21). È questo verosimilmente il punto di arrivo della via descritta da Paolo Beltrame, citata in premessa.

fig. 20 – Il traverso procedendo in conserva
fig. 21 – La selletta terrosa con ometto, probabile punto d’arrivo dell’itinerario descritto da Paolo Beltrame

Gli ultimi metri di questa progressione in conserva sono i più delicati. Traversiamo la selletta e ci troviamo su una ripida ed insidiosa cengia detritica, in leggera discesa e completamente marcia (fig. 22). Con grande cautela, percorriamo la cengia, fino ad aggirare lo spigolo (fig. 23) e ci troviamo in un largo canale altrettanto marcio e dirupato.

fig. 22 – La cengia inclinata e detritica subito superata la selletta terrosa
fig. 23 – Con cautela, aggiriamo lo spigolo della cengia detritica

Inizia ora il quarto tiro di arrampicata, alpinisticamente il più impegnativo. Sull’opposto lato del canale detritico, individuiamo un intaglio nella roccia che risale la parete e decidiamo di seguirlo (fig. 24). Procedere all’interno dell’intaglio si rivela tuttavia presto poco saggio: il terreno è così marcio che ogni appiglio si sgretola ed il movimento della stessa corda genera piccole scariche. Più sicuro è invece progredire sul bordo sinistro dell’intaglio, che appare più affidabile. Mi apposto comunque dentro una sporgenza nella roccia ed Edoardo attacca la parete con estrema delicatezza, quasi camminasse sulle uova (fig. 25)! Ciò nonostante, dopo una decina di metri, una bella roccia rossastra si stacca dalla parete e si proietta nel cielo esattamente sulla traiettoria del mio volto; abbasso repentinamente la testa e mi insacco dentro la sporgenza che avevo scelto come riparo. Sento il sibilo della roccia che mi supera e non posso che ringraziarmi per essere sempre così pedantemente attento alla sicurezza e, nel caso di specie, alla regola che impone al secondo di avere un buon riparo, soprattutto quando è sulla stessa linea del primo 😉 A metà del quarto tiro, superato il primo intaglio, se ne apre un secondo. Il superamento di questo secondo intaglio rappresenta forse il passaggio più delicato dell’intera progressione; lo si affronta in opposizione, cercando di portarsi il prima possibile sulla parete di destra, che presenta appigli più sani.

fig. 24 – L’intaglio che scegliamo di risalire per il quarto tiro
fig. 25 – Edoardo attacca il quarto tiro, la sezione più delicata dell’intera ascesa

Ora la parete si fa più gradonata ed il quinto tiro si svolge su roccia nuovamente compatta, puntando leggermente a sinistra (fig. 26) fino a giungere ad una comoda cengetta pietrosa inclinata. La traversiamo in conserva fino a guadagnare un piccolo rilievo (2730 m) in cresta (fig. 27).

fig. 26 – Il quinto tiro si svolge su roccia gradonata
fig. 27 – La cengetta inclinata che conduce finalmente in cresta

Siamo sul fil di cresta, il panorama è maestoso, la giornata magnifica; finalmente si apre ai nostri occhi la Val Montesela (Ra Montejela), sovrastata dalla cima della Croda Rossa, 3146 m (fig. 28 e 29). La forcella dove saremmo voluti giungere si trova a ben 170 m in direzione E rispetto a dove ci troviamo (fig. 30)!!! Probabilmente, dopo il 3° tiro, avremmo dovuto deviare verso E ed in un solo tiro saremmo giunti in forcella. La parete, tuttavia, appariva particolarmente ripida su quel versante e ci saremmo verosimilmente trovati ad affrontare passaggi di V. L’itinerario di ascesa che abbiamo preferito è certamente più lungo (ca 280 m di sviluppo e 100 m D+) ma indubbiamente più sicuro, specialmente per il primo di cordata che si muove su una parete non attrezzata.

fig. 28 – Sul fil di cresta, 2730 m, con alle spalle il versante settentrionale di Malga Cavallo (Rossalm) e de La Crodetta
fig. 29 – In cima, con alle spalle la parete N della Croda Rossa e la sezione apicale della Val Montejela
fig. 30 – Rappresentazione grafica della via Valleferro-Ganeo

Dopo una brevissima pausa ristoratrice, iniziamo la discesa. Affrontiamo i primi cinque metri zig-zagando tra facili roccette (fig. 31) fino a giungere su uno spigolo che conduce ad un terrazzino aereo, circa cinque metri sopra un canale detritico che taglia la parete in diagonale. Affrontiamo questi cinque metri verticali disarrampicando (fig. 32) (e qui perdo i miei occhiali da vista ritirati dall’ottico esattamente il giorno precedente. Se qualcuno volesse tornare…….. ;-).

fig. 31 – La prima sezione in disarrampicata su facili roccette, poco a valle della cresta
fig. 32 – La discesa nel ripido canale che taglia la parete in diagonale

Percorriamo quindi il canale in conserva, badando di traversarlo, alla fine, portandosi sulla sinistra (perché il canale finisce nel vuoto!), approdando su una parete di sfasciumi, colorata di muschi e chiazze di timida erbetta (fig. 33).

fig. 33 – La discesa del canale, al cui sbocco bisogna tenersi a sinistra, sulle balze detritiche

Si continua la discesa, sempre in conserva e sempre mirando verso sinistra, disarrampicando su facili roccette (fig. 34 e 35)

fig. 34 – Si tiene la sinistra tra facili roccette
fig. 35 – Edoardo in disarrampicata su facili roccette

Si tratta ora di affrontare una ripida cengia detritica che taglia in diagonale la parete per una ventina di metri, sempre muovendo verso E. Allestiamo una sosta con un friend (fig. 36 e 37) e procediamo in disarrampicata per una quindicina di metri (fig. 38).

fig. 36 – La cengia detritica da percorrere in leggera discesa
fig. 37 – Il mio friend torna sempre utile!
fig. 38 – In disarrampicata sulla cengia inclinata

Ci si trova ora alle pendici di uno spigolo roccioso (fig. 39), che traversiamo alla base, mirando verso O, con un traverso molto delicato su roccia marcia, da superare con spaccata aerea sopra un canalino (fig. 40: il traverso indicato con freccia).

fig. 39 – Alla base dello spigolo roccioso da traversare verso O
fig. 40 – Il traverso alla base dello spigolo roccioso: in prossimità della freccia si supera con spaccata aerea un canale detritico

Siamo ora nel tratto finale, sopra uno stretto intaglio nella roccia marcia e friabile; si tratta di svolgere una calata di circa una ventina di metri dentro il canale che conduce finalmente sulle ghiaie alle pendici della Crodaccia Alta. Allestiamo una sosta su due solidi speroni rocciosi (abbandonato cordino e ghiera) (fig. 41) e scendiamo in disarrampicata dentro il canale che presenta il susseguirsi di tre gradoni alti un paio di metri ciascuno (fig. 42 e 43).

fig. 41 – La sosta allestita per la calata
fig. 42 – Il canale marcio che conduce al ghiaione alla base della Crodaccia Alta
fig. 43 – Il terzo ed ultimo gradone finale del canale che conduce al ghiaione

Il gioco è fatto 😉 Posiamo il piede sul ghiaione a quota 2708 m su un terreno squisitamente morbido, quasi la Croda Rossa avesse voluto premiarci per questa audace avventura esplorativa! Scendiamo quindi il ghiaione, tenendo la sinistra per evitare un evidente salto di roccia, su un comodo ghiaione dal fondo terroso che ammortizza il nostro stanco incedere (non durerà molto 🙁 ) (fig. 44). Nel piccolo catino alla base della Crodaccia Alta, corrispondente alla sezione apicale settentrionale della Val Montesela, in un luogo completamente inviolato, scorgo un oscuro pertugio che spicca nitido sulla luminosa parete (fig. 45). Mi fermo, titubante… per oggi è abbastanza, ma so che la curiosità tornerà a fare capolino nei prossimi anni!

fig. 44 – La piacevole discesa sul ghiaione nel lobo apicale settentrionale di Ra Montejela
fig. 45 – La grotta che si apre ai piedi della Crodaccia Alta, nel catino settentrionale della Val Montesela

La pendenza è ora diminuita e l’incedere sul ghiaione diventa particolarmente impegnativo, specie alla fine di una simile giornata. L’ambiente che ci circonda, tuttavia, ripaga ogni sforzo, e la maestosità dell’immenso ed imponente spazio incontaminato sovrasta ogni fatica, investe e riempie di silenziosa emozione.

fig. 46 – La Val Montesela (Ra Montejela)
fig. 47 – Le pareti a picco della Piccola Croda Rossa (Croda Rossa Pizora)
fig. 48 – La traiettoria di discesa, nel lobo settentrionale della Val Montesela e la prima fonte di acqua da Malga Stolla
fig. 49 – L’imbocco di Ra Montejela

Siamo ora giunti all’imbocco della Val Montesela e scegliamo di scendere a Malga Ra Stua per Ra Jeralbes, lungo il vecchio sentiero 0. Maggiori dettagli sulla via di discesa (anche, eventualmente, verso Lerosa) possono essere rinvenuti nella relazione “Esplorando Ra Montejela”.

Considerazioni finali

Probabilmente, questa è l’avventura esplorativa più impegnativa mai portata a termine. Non la più faticosa (la più faticosa è stata l’apertura della via “Cristallino Ovest“) né la più estrema quanto a esposizione (metterei al primo posto la traversata di Forcella Campale). È stata però la più lunga in ambiente sconosciuto, muovendosi nell’incertezza di essere sulla via corretta, nel dubbio che alla fine del tiro vi sia un altro possibile tiro o una liscia parete nel vuoto. È questa lunga permanenza in un ambiente vergine, su traiettorie mai solcate prima, che ha reso “impegnativa” l’esplorazione. Si aggiunga a ciò la variabile della roccia marcia, condizione ben nota quando ci si muove in Croda Rossa. È chiaro che una simile traversata, in ambiente tanto solitario e remoto, è rivolta ad un escursionista navigato, avvezzo ad avventurarsi in itinerari non segnalati né tantomeno attrezzati e, ovviamente, provvisto delle necessarie competenze tecniche ed attrezzature.

Traversata di forcella Campale: dal Cadin di Croda Rossa al Cadin del Ghiacciaio

DIFFICOLTÀ COMPLESSIVA: EEA+. Calata di Forcella Campale: AD+. (Dovendo, come accaduto, risalire in arrampicata il tetto strapiombante, corrispondente al 4° tiro: D+).

Traversata alpinistica mediamente lunga e fisicamente non troppo impegnativa. La calata da forcella Campale al Cadin del Ghiacciaio si sviluppa su ca 150m, 100m D-, con necessità di effettuare almeno 6 calate (4 appoggiate, 1 strapiombante, 1 ripida). Nella sezione centrale, in disarrampicata, si raggiungono difficoltà di V grado. Da non sottovalutare la condizione della roccia, spesso marcia, che rende più difficoltosa la disarrampicata.

DISTANZA: 14 km – DURATA: 8,30 h – DSL: 1200m D+

DATA: 17 luglio 2022

PREMESSE

Una forcella è un valico che separa due valli. È quindi, idealmente, il punto di transito per passare da una valle all’altra… idealmente… vi sono infatti forcelle che, se da un versante si raggiungono più o meno agevolmente, dall’altro terminano nel vuoto. Io le chiamo ironicamente “forcelle terra-aria” 🙂 La Croda Rossa pare essere generosa quanto a forcelle terra-aria. La più nota è sicuramente Forcella Nord, la forcella più alta sciabile sulle Dolomiti. Si accede faticosamente su due piedi dalla Val Montejela ma si scende a quattro zampe dal lato di Forcella Nord. È un percorso di sci alpinismo piuttosto estremo ma risulta fattibile e se ne trova recensione. Altro esempio è poi Forcella Campale (Gumpalscharte). Vi si accede salendo un ripido ghiaione dal Cadin di Croda Rossa ma, giunti in forcella, si potrà scendere fino al Cadin del Ghiacciaio? È questo il quesito che Edoardo ed io ci siamo posti prima di intraprendere l’avventura. Descrizioni dell’itinerario non se ne trovano; questa è la prima relazione ad essere pubblicata. Prima di cimentarmi nell’avventura, ho ovviamente cercato di raccogliere tutte le informazioni del caso (pochissime). Un ringraziamento particolare al Maestro d’avventura dolomitica Paolo Beltrame e a Suo figlio che, disponibilissimi, hanno puntualmente riscontrato la mia richiesta di approfondimento sull’itinerario, confermando che la discesa di Forcella Campale ha carattere puramente alpinistico. Un ringraziamento speciale anche a Riccardo, che mi ha fornito i primi spunti di studio condividendo le foto del Cadin del Ghiacciaio e di Forcella Campale scattate dalla Crodaccia. Obiettivo della presente esplorazione non è, infine, esclusivamente appurare la fattibilità della calata da Forcella Campale al Cadin del Ghiacciaio ma anche verificare le condizioni dei due rock glacier collocati rispettivamente nel Cadin di Croda Rossa e nel Cadin del Ghiacciaio. Non si deve infatti dimenticare che l’Elenco dei Ghiacciai Italiani del 1925 rilevava l’esistenza del “Ghiacciaio di Croda Rossa”, cui emissario era il Rio di Stolla. Nel 1957, tale ghiacciaio risultava estinto.

RELAZIONE DELL’ITINERARIO

Lasciata l’auto nei pressi della casa abbandonata poco dopo il passo di Cimabanche, sulla sinistra, (1523m), si imbocca il sentiero CAI n. 18 e si risale la Val di Chenópe (Knappenfusstal) (dall’ampezzano chenòpo “minatore”, in tedesco knappe) sempre costeggiando il greto del torrente (fig. 1 e 2).

fig. 1 Seguendo il sentiero n. 18 che risale la Val di Chenópe
fig. 2 Edoardo sul sentiero n. 18, nel tratto che risale le pendici più settentrionali del Knollkopf

Dopo circa 45 minuti, si supera un piccolo ponte di legno e, nell’intersezione evidente con una mulattiera, si tiene la sinistra, raggiungendo in pochi minuti un’amena radura prativa, la cui vista si apre sul Cadin di Croda Rossa (fig. 3).

fig. 3 La radura prativa a valle del Cadin di Croda Rossa

Si procede quindi lungo l’evidente mulattiera sino ad uno steccato di legno che delimita l’area di pascolo. Entrati nella recinzione, è possibile alternativamente tenere la destra, seguendo il sentiero, oppure, senza via obbligata, risalire nel bosco rado, seguendo le umide zolle che indicano la presenza di una sorgente, sino a giungere ai ruderi di una casera (fig. 4).

fig. 4 Edoardo giunto nei pressi dei ruderi della casera

Superato il rudere, si continua in direzione NO sino a montare sul sentiero n. 3. Si guada là dove più rii confluiscono, non potendo non ammirare i giochi di stone balancing realizzati da qualche mano ferma e paziente (fig. 5 e 6).

fig. 5 La confluenza dei rii provenienti dalle valli superiori
fig. 6 L’arte dello stone balancing, sempre più frequente nei torrenti di montagna

Si tiene ancora il sentiero n. 3, per poche decine di metri, fino a giungere ai piedi di uno sperone roccioso; da qui, una debole traccia devia a sinistra, in direzione SO, fino a giungere ad una radura prativa particolarmente amata dalle vacche al pascolo. Si traversa la radura e ci si inerpica, senza via obbligata, su per una collinetta pressoché spoglia, in direzione SO (fig. 7). Impressionante il numero di residuati bellici, alcuni apparentemente piuttosto recenti, al punto da nutrire qualche perplessità sul fatto che risalgano alla prima guerra mondiale. Un bossolo reca la data del 1945… dovremo approfondire quale evento bellico ha coinvolto questo versante della Croda Rossa durante la seconda guerra mondiale…

fig. 7 La radura prativa vista dalla sommità della collinetta sulla quale si deve salire
fig. 8 Il resto di un razzo, oggi colonizzato da un ragnetto
fig. 9 Decine di resti di razzo costellano la via di salita. Il numero è tale che, in questo tratto, per la prima volta mi viene in mente il concetto di “inquinamento da residuati”.

Guadagnata la sommità della collinetta, si entra ora nel Cadin di Croda Rossa, tenendo la destra, ai piedi delle Cime Campale, su levigatissima roccia talvolta solcata dai tipici karren, parimenti molto comuni sul versante occidentale della Croda Rossa, in zona Fosses. È evidente il lavoro di erosione della roccia svolto dall’estinto ghiacciaio che, una volta, occupava il Cadin di Croda Rossa (fig. 10). Sorprende, inoltre, la qualità della roccia di Cima del Pin e delle Cime Campale, sul versante del Cadin di Croda Rossa; contrariamente alle aspettative, la roccia si presenta estremamente compatta e levigata, per nulla marcia; terreno ideale per gli amanti dell’arrampicata (fig. 11).

fig. 10 Entrando nel Cadin di Croda Rossa
fig. 12 Punta del Pin, 2682m, dal Cadin di Croda Rossa. Da notare la deformazione dei calcari in c.d. pieghe coricate a letto

IL ROCK GLACIER NEL CADIN DI CRODA ROSSA (già “Ghiacciaio del Pin”)

Pochi metri ancora e giungiamo ai piedi della fronte del rock glacier del Cadin di Croda Rossa (fig. 13). Il Catasto dei Rock Glaciers delle Alpi Italiane del 1997 stabilisce che il Cadin di Croda Rossa ospita un rock glacier la cui fronte si attesta intorno ai 2285m e la parte sommitale intorno ai 2385m, occupando una superficie di circa 130mila mq. Tale rock glacier, risalente ad un’epoca anteriore alla Piccola Età Glaciale (1300 d.C.), definito nel 1974 “Ghiacciaio del Pin” (Pin Ferner) dal glaciologo Corrado Lesca (C. Lesca, Bollettino del Comitato Glaciologico Italiano, 22, 1974, pag. 121), presenta solchi e creste trasversali, una fronte marcata ed un lobo ben sviluppato. Tuttavia questo rock glacier presentava nel 1997 una “uncertain activity“. Una decina d’anni più tardi, i ricercatori, a seguito di rilevamenti svolti tra il 2005 e il 2007, rilevavano che «Il rock glacier di Cadin di Croda Rossa non mostra affioramenti di ghiaccio e presenta strutture interne differenti indicando che probabilmente si tratta di un rock glacier con ghiaccio interstiziale (ice-cemented rock glacier)». (K. Krainer, K. Lang, H. Hausmann, Active rock glaciers at Croda Rossa/Hohe Gaisl, Eastern Dolomites (Alto Adige/South Tyrol, Northern Italy), in Geogr. Fis. Dinam. Quat., 33 (2010), 25-36).

fig. 13 La fronte del rock glacier del Cadin di Croda Rossa

Confermando le osservazioni svolte dai ricercatori, ad oggi possiamo confermare che la fronte del rock glacier è di per certo ben marcata (fig. 13), con una pendenza di 35-40° ed un’altezza di 50m, e si attesta a circa metà della strettoia tra la Punta del Pin e le Cime Campale nel Cadin di Croda Rossa. Non è stata pervenuta alcuna acqua di fusione nell’area ai piedi della fronte né alcun ghiaccio esposto una volta rimontata la fronte ed esplorata la superficie del rock glacier. Si conferma, invece, che il rock glacier è traversato longitudinalmente da evidenti solchi e le rocce sui cui progrediamo sono particolarmente mobili (fig. 14). Nei pressi della sezione sommitale del rock glacier, infine, è presente un’area innevata che, tuttavia, non sembra appartenere al ghiacciaio quanto, piuttosto, pare essere il lobo di un canale valanghivo proveniente dalla Croda Rossa, le cui nevi evidentemente sono perenni (fig. 15).

fig. 14 Il materiale instabile sulla superficie del rock glacier del Cadin di Croda Rossa
fig. 15 Il nevaio alimentato dalle valanghe provenienti da un ripido canale sulla parete orientale della Croda Rossa. Sullo sfondo, da destra a sinistra, le creste della Croda Rossa degradano fino alla ben visibile Forcella del Pin, per poi riprendere quota sino a Punta del Pin.

LA TRAVERSATA DI FORCELLA CAMPALE

Sebbene la salita a Forcella Campale appaia dal rock glacier piuttosto ripida (fig. 16), si rivela in realtà meno faticosa di quanto previsto. E pensare che Ugo di Vallepiana, nel 1925, scriveva che Forcella Campale si risaliva faticosamente “attraverso pendii di detriti della peggior specie“!!! (Ugo di Vallepiana, Dolomiti di Cortina d’Ampezzo, dal Cristallo per le Tofane alla Croda da Lago, Guide del Club Alpino Italiano, sezione unversitaria, 1925). Noi scegliamo di attaccare il ghiaione che scende dalla forcella sulla destra, cercando di poggiare i piedi sulle rocce più grandi e stabili (fig. 17).

fig. 16 Forcella Campale dal rock glacier del Cadin di Croda Rossa
fig. 17 L’inizio della salita alla forcella Campale

L’obiettivo è abbandonare quanto prima le mobili ghiaie e giungere ad una successione di speroni rocciosi che, nei pressi della sezione centrale della salita, ci forniranno più solido appiglio. Guadagnata la roccia, saliamo piacevolmente facendo scrambling (fig. 18, 19 e 20).

fig. 18 Guadagnate finalmente le solide rocce che ci garantiscono un più agevole incedere
fig. 19 Edoardo procede con lo scrambling
fig. 20 Ormai pochi metri e siamo in forcella Campale

Giunti in forcella Campale, emblematica è l’espressione di Edoardo 😉

fig. 21 “Edoardo, com’è la discesa???”

Sotto di noi, si sviluppa un canale bello marcio intorno a poco più di 50° di inclinazione (fig. 22). Ma, sorpresa delle sorprese, ci rendiamo subito conto che il nostro intento di aprire una nuova via non potrà essere coronato: troviamo infatti uno splendido e lucido spit sulla roccia a sinistra della forcella!!! Facciamo quindi una foto di rito in forcella ed iniziamo ad imbragarci (fig. 23). Sul versante opposto a noi, la Forcella Nord scende ripidissima e scariche di sassi che rotolano come proiettili nel Cadin del Ghiacciaio echeggiano minacciosi sulle pareti (fig. 24).

fig. 22 La calata inizia dentro un canalino di roccia marcia con pendenze intorno ai 70° che permette di raggiungere un ampio balcone ghiaioso.
fig. 23 La foto di rito in forcella!
fig. 24 La forcella Nord, la più alta forcella delle Dolomiti coi suoi 3000m, mette in comunicazione il Cadin del Ghiacciaio con la Val Montejela (Montesela).

Ci appropinquiamo quindi allo spit, aggirando con forte esposizione un enorme masso pericolante. Lo spit si trova a circa 2 metri di altezza, subito dopo il masso (fig. 25).

fig. 25 Edoardo aggira l’instabile masso per allestire la manovra di calata

“Longiato” sullo spit, lascio ad Edoardo l’onore di aprire la calata! Il fondo del canale si presenta quasi terroso, totalmente friabile. Edoardo si cala per circa una ventina di metri fino a che, sul bordo di destra del canale, individua un secondo spit (fig. 26 e 27). Tocca ora al sottoscritto: infilo il secchiello, mi faccio un machard ed inizio la calata che concludo in un paio di minuti.

fig. 26 Edoardo inizia la calata su fondo quasi terroso
fig. 27 Gli ultimi metri del primo tiro di calata

Ogni recupero di corda deve essere effettuato con la massima cautela poiché smuoviamo terreno che ci rotola addosso (fig. 28).

fig. 28 Recuperando la corda e, con essa, un po’ di sassolini 🙂

Con ulteriori due “calate appoggiate”, di circa 20 e 35 metri, approdiamo ora su un grande cengione ghiaioso, che segna il termine del canale, i cui bordi degradano nel vuoto (fig. 29 e 30). Al centro di questa grande cengia, sulla parete, troviamo un chiodo cui ci leghiamo per scendere fino al bordo della cengia (fig. 31); si tratta ora di scendere di circa un metro sulla parete, in totale esposizione ma su comodo gradino e beneficiando di un appiglio su stretta fessura trasversale, fino a trovare un piccolo pulpito dove ci attende una sosta già allestita con spit + chiodo (fig. 32).

fig. 29 La terza calata
fig. 30 Edoardo si avvicina alla larga cengia che segna il termine del canale
fig. 31 Nei pressi del cerchio rosso si trova il chiodo per assicurarsi e scendere fino alla sosta successiva
fig. 32 Con un po’ di entusiasmo e coraggio ci si deve affacciare sul bordo della cengia e scendere di circa un metro, con esposizione molto elevata, fino a trovare un piccolo balconcino con la sosta già allestita

Giunto alla sosta, attacco il moschettone della longe allo spit e tiro un sospiro di sollievo! Ora Edoardo ha recuperato la corda mi raggiunge sul piccolo pulpito (fig. 33).

fig. 33 Edoardo si appresta a raggiungere il pulpito aereo dove abbiamo trovato la sosta

Ci prepariamo per le manovre di calata e lanciamo la corda nel vuoto. Questa volta, però, non vediamo dove la corda atterra! La roccia sotto di noi, infatti, precipita con un probabile tetto (a breve scopriremo che l’ipotesi era ben fondata!) (fig. 34). Non c’è altro da fare che andare in perlustrazione. Edoardo aumenta le spire del machard e si cala fino a scomparire nel vuoto. E qui inizia un’interminabile e stremante attesa. Sono immobile su un pulpito che non mi concede grande libertà di movimento. Siamo all’ombra (ad occhio non batte mai il sole in questo tratto di parete) e tira un bel venticello che dalla valle si incanala nella Forcella Campale. Maniche corte e smanicatino non si rivelano la scelta più azzeccata in questo tratto di calata; tuttavia, sono così esposto che non mi fido di togliere lo zaino e cercare il goretex (che sicuramente sarà sotto di tutto)… quindi inizio a soffiare aria calda sulle mani, badando di non smuovere qualche sassolino su quel mezzo metro di balconcino. Finalmente, arriva il via libera di Edoardo che, nel frattempo, è riuscito ad atterrare e trovare un punto sicuro una decina di metri sotto il tetto. Controllo ripetutamente che le ghiere dei moschettoni siano ben serrate intorno al secchiello e al machard e… via, calata nel vuoto, per circa venticinque metri.

fig. 34 La corda scompare nel vuoto…

Ed eccoci al termine della calata strapiombante, superata una grotta dalle cui fessure scendono gocce che si trasformano in un rigolo d’acqua (fig. 35). L’atterraggio avviene su un comodo e sicuro balconcino, che mi permette di togliere lo zaino e mettermi una maglia tecnica per recuperare un po’ di calore! Ci attendono però ora due sorprese: la prima, non troviamo altri spit e, sotto di noi, v’è un bel secondo ripido salto. Inoltre, in fase di recupero della corda con il sagolino, qualcosa non funziona e le corde restano bloccate! Quest’ultima è davvero una bella rogna ed Edoardo è costretto a risalire la parete strapiombante su roccia marcia con passaggi di V grado, liberare le corde e ridiscendere (fig. 36).

fig. 35. Giunto al termine della calata strapiombante, indossando finalmente qualcosa di caldo!
fig. 36 Edoardo scende per la seconda volta dopo aver liberato la corda a monte. Si nota distintamente la grotta dalle cui fessure promana acqua

Liberate le corde, dobbiamo ora pensare a come calarci poiché, nonostante le esplorazioni della parete nei dintorni, non troviamo davvero alcun chiodo infisso (fig. 37) Tale circostanza fa riflettere: evidentemente, la via è stata chiodata con gli spit da qualche sciatore nel periodo invernale. Terminata la parete strapiombante, infatti, è verosimile pensare che lo sci-alpinista abbia affrontato il pendio rimanente, fino al Cadin del Ghiacciaio, sciando. L’accumulo di neve, infatti, tenderà sicuramente a smorzare quei primi metri al 90/100% di pendenza che ci attendono; poi, dopo una decina di metri di dislivello, la parete inizia a gradonarsi, diminuendo così drasticamente l’inclinazione e rendendo ben appetibile la discesa. Noi, però, non abbiamo la neve, e quella decina di metri totalmente aerei ci obbligano a trovare una soluzione sicura per essere superati. È quindi il momento di tirare fuori i chiodi ed allestire una sosta (fig. 38).

fig. 37 Edoardo alla ricerca (infruttuosa) di qualche spit o chiodo
fig. 38 Edoardo conficca due chiodi per allestire la penultima sosta

Nel mentre Edoardo martella, la Crodaccia Alta ci osserva, con le sue tipiche “tasche paleocarsiche” che quasi le conferiscono grottesche sembianze umane (fig. 39). Nel sottofondo, scariche di sassi dalla Forcella Nord si alternano a sinistri crolli nei pressi del lago del Cadin del Ghiacciaio (fig. 40).

fig. 39 La singolare parete meridionale della Crodaccia Alta
fig. 40 Il Cadin del Ghiacciaio, con il tipico lago in prossimità della fronte

Una volta allestita la sosta, Edoardo si cala per l’ultima ripida parete. Io controllo attentamente i chiodi, verificando che non si muovano di un millimetro (fig. 41).

fig. 41 La sosta allestita prima dell’ultima calata

Tocca quindi a me scendere e supero abbastanza agevolmente gli ultimi venti metri di parete verticale approdando su un comodo gradone di ghiaia (fig. 42).

fig. 42 L’ultimo tratto di parete verticale prima di giungere sui più comodi gradoni

Ora il gioco è fatto e tiriamo un sospiro di sollievo!!! (fig. 43 e 44). Per affrontare gli ultimi trenta metri di gradoni friabili, scendo io per primo ed Edoardo mi fa sicura piantando un ultimo chiodo, giusto perché ogni appiglio che tocco mi resta in mano 😉

fig. 43 Espressione soddisfatta nr. 1!
fig. 44 Espressione soddisfatta nr. 2!!!

Giungo quindi a fine corda e mi slego, procedendo sugli ultimi gradoni friabili prima di saltare sulle ghiaie del Cadin del Ghiacciaio e portarmi fuori tiro dalle eventuali scariche che Edoardo dovesse smuovere discendendo.

fig. 45 Edoardo si appresta a scendere l’ultimo tiro. In rosso, i tiri di calata una volta usciti dal canale detritico

IL ROCK GLACIER NEL CADIN DEL GHIACCIAIO

Appena messo piede sul Cadin del Ghiacciaio, mi rendo conto che la parte apicale è effettivamente un enorme nevaio su cui le sovrastanti cime scaricano continuamente materiale (fig. 46). La parete della Cima Campale a ridosso della via di calata, in particolare, appare marcissima e devastata dai crolli (fig. 47). Sul versante opposto, la Forcella Nord scarica costantemente materiale. Ci allontaniamo quindi velocemente da questa area tormentata dalle frane e, con divertente sciata sul nevaio inclinato, ci dirigiamo verso il centro del Cadin del Ghiacciaio (fig. 48).

fig. 46 Il nevaio coperto dalle scariche delle cime sovrastanti
fig. 47 Sulla sinistra rispetto alla via di calata (guardando dal Cadin), la parete di Cima Campale è soggetta a continui crolli. Non proprio quello che si definerebbe “the best place to be”, sicché leviamo i tacchi e ci portiamo velocemente al centro del Cadin del Ghiacciaio
fig. 48 Sciando sulla parte apicale del Cadin del Ghiacciaio

Il sopra citato studio di Krainer, datato 2010, conferma le nostre osservazioni, concludendo che :

«le strutture interne (piani di scorrimento) e particolarmente gli affioramenti di ghiaccio nella parte superiore del rock glacier di Cadin del Ghiacciaio indicano chiaramente che questo rock glacier si è sviluppato da un ghiacciaio di circo coperto da detrito che si trova in condizioni di permafrost ancora oggi. Presumiamo che questo rock glacier si sia sviluppato da un piccolo ghiacciaio di circo alimentato da valanghe in una fase di ritiro a causa del mancato trasferimento alle acque di fusione dei sedimenti trasportati dal ghiacciaio».

K. Krainer et alia, Id.

Ciò che sorprende, peraltro, è che questo rock glacier presenta caratteristiche morfologiche differenti rispetto al rock glacier ospitato nel Cadin di Croda Rossa. Innanzitutto, si trovano di tanto in tanto delle piccole depressioni, quasi delle doline; come se il ghiaccio sottostante le rocce fosse ceduto e/o si fosse formato un imbuto naturale/inghiottitoio (fig. 48 e 49).

fig. 48 Depressioni che lasciano presagire la presenza di un inghiottitoio nel sottostante ghiacciaio
fig. 49 Ancora improvvise depressioni sulla superficie del rock glacier

Sorprendono, inoltre, le dimensioni di questo rock glacier. Krainer stabiliva che

«the rock glacier is 850 m long, 300-550 m wide and covers an area of 0.3 km2. The rock glacier extends from an altitude of 2340 m at the front to about 2500 m. The average gradient of the surface is 5°».

Tali misurazioni, confrontate con i primi rilievi svolti da Rictcher nel 1888, mostrano una regressione dell’apparato glaciale di una decina di metri. Nella parte centrale del rock glacier, si percepisce una divisione in due lobi; notiamo infatti ghiaie più “fresche”, risultato di un certo dinamismo sulla superficie… tale linea segna la demarcazione tra i due lobi e, nella parte apicale del rock glacier, emerge chiaramente il ghiaccio esposto, corrispondente con il margine sinistro del lobo meridionale (fig. 50).

fig. 50 Ghiaccio esposto poco sotto la superficie del rock glacier, in prossimità della suddivisione in due lobi

Incredibile pensare che, in alcune zone del rock glacier, il sedimento che ricopre il ghiacciaio è davvero poco spesso; secondo Krainer

«in the upper part massive ice is exposed during the summer months at several places below a less than 1 m thick debris layer. Locally the debris layer is only about 10 cm thick».

Tant’è che, a parere dello scrivente, la definizione di rock glacier non sembra propriamente calzare al caso di specie… più che rock glacier, questo apparato sembra un vero e proprio ghiacciaio sormontato da una copertina di detrito. Un mantello che preserva il ghiaccio sottostante sicuramente da oltre un secolo; già nel 1907, infatti, il glaciologo Marinelli descriveva il ghiacciaio come quasi completamente coperto di detrito superficiale. Lo stesso asseriva il glaciologo Lesca nel 1974, rilevando che il ghiacciaio era «per gran parte ricoperto da morena superficiale» (Lesca, Id.). Ciò è confermato dalla visita all’incantevole e tipico laghetto termocarsico, collocato sul lobo settentrionale, poco più a valle. Il lago presenta inclinate pareti di ghiaccio esposto e compatto, alte fino a venti metri sul versante idrografico sinistro della valle, che “letteralmente” si sciolgono al sole riversando acqua dentro il bacino. Sottolineo il concetto di “ghiaccio compatto”, per nulla mescolato al detrito, confinato al solo margine superiore delle pareti. Man mano che il ghiaccio si scioglie, precipitano dentro il laghetto le rocce che costituiscono lo strato superficiale del rock glacier, quasi vi fosse un preciso equilibro tale per cui la profondità del laghetto non può incrementarsi, perché la quantità di acqua di fusione riversatavi è in rapporto perfetto con la quantità di rocce che vi crollano dentro (fig. 51, 52, 53). Affascinante pensare che il ghiaccio che vediamo e tocchiamo risale alla Piccola Era Glaciale, ad un periodo quindi compreso tra la metà del XIV e la metà del XIX secolo (ISPRA, Note Illustrative della Carta Geologica d’Italia – Foglio 016 Dobbiaco, pag. 175).

fig. 51 Il laghetto termocarsico nel rock glacier del Cadin del Ghiacciaio
fig. 51 Le pareti di compatto ghiaccio, fino a venti metri d’altezza, sono ricoperte da un relativamente sottile strato di sedimento roccioso
fig. 53 Man mano che il ghiaccio esposto si scioglie, viene meno il supporto delle rocce superficiali che rotolano dentro il laghetto termocarsico

Una curiosità: studiando le immagini satellitari messe a disposizione dal servizio BING, scopriamo che, nell’agosto del 2015, il laghetto termocarsico aveva pure un fratellino!!! Evidentemente, il tappo di ghiaccio sul fondo si è poi sciolto, facendo defluire l’acqua nei meandri sotterranei del ghiacciaio.

fonte BING, immagine scattata il 27 agosto 2015

Dopo aver contemplato con meraviglia il laghetto, ci dirigiamo verso la fronte del rock glacier. Questa è alta almeno 30 metri e ben ripida (35°/40°), al punto che dobbiamo procedere lungo il perimetro della fronte, sul lobo meridionale, la cui fronte è meno ripida di quello settentrionale, fino a raggiungere un pendio di altezza più contenuta per poter scendere, non a fatica (fig. 54).

fig. 54 L’imponente fronte del rock glacier del Cadin del Ghiacciaio

Abbandonata definitivamente l’area del ghiacciaio, ci teniamo ora sulla destra, a ridosso dello sperone orientale delle Cime Campale (fig. 55), scendendo comodamente lo scosceso pendio tra radi mughi, fino ad incrociare nuovamente la radura popolata da vacche al pascolo. Di lì, per la via dell’andata, è d’obbligo una sosta ristoratrice a Malga Stolla. Nel giro di un’oretta, sempre per la stessa via dell’andata, si rientra al parcheggio presso Cimabanche.

fig. 55 L’inedita vista che si apre ai piedi dello sperone meridionale delle Cime Campale, verso le Tre Cime di Lavaredo
fig. 56 La discesa, senza via obbligata, fino alla radura adibita a pascolo