Dal Troi dei Milezinque al Cadin di Crodaccia per il Cadin del Ghiacciaio

DIFFICOLTÀ COMPLESSIVA: E

DISTANZA: 18 km – DURATA: 6 h – DSL: 1200 m D+

DATA: 12 agosto 2022

PREMESSE

Esplorare non significa necessariamente sempre affrontare ripidi e dirupati pendii. Ci sono giornate in cui, o per ragioni meteorologiche o, banalmente, per rilassarsi, è possibile esplorare semplicemente camminando. È questo il caso presentato nell’odierno itinerario. Il meteo non promette bene e con Paolo si decide per una tranquilla passeggiata esplorativa senza caschi e imbraghi. L’obiettivo è una valle innominata, mai esplorata, conchiusa tra la Crodaccia Alta e la Crodaccia. Per arrivarci, eviteremo i sentieri numerati ma saliremo fino a Pratopiazza percorrendo una traccia singolare, spesso segnata con bolli blu, meglio nota come Troi dei Milezinque.

RELAZIONE DELL’ITINERARIO

Il Troi dei Milezinque pare così chiamarsi per l’altitudine dal quale parte. Lungo la strada statale che conduce a Carbonin, qualche tornante dopo il passo di Cimabanche, ecco una traccia che rimonta il costone erboso, inoltrandosi nel bosco (fig. 1). Superfluo sarebbe specificare a che quota ci troviamo 😉

fig. 1 L’attacco del Troi dei Milezinque

Il Troi prende subito quota (fig. 2) ed in breve conduce al facile guado del Rio di Specie. Traversato il rio, si giunge ad un’amena radura. Qui potrebbero nascere i primi problemi d’orientamento: qualche bollo blu, infatti, è presente, ma è posizionato sul lato a monte dei tronchi e non su quello a valle. In ogni caso, giunti alla radura, è necessario deviare a destra, direzione NE (fig. 3). Tale soluzione permette di raggiungere in breve il sentiero CAI n. 37 o la mulattiera, indicativamente nei pressi del quarto tornante.

fig. 2 Il Troi dei Milezinque nel primo tratto in salita
fig. 3 Paolo indica saggiamente la via da percorrere giunti alla radura

Montati sul sentiero n. 37, ci si potrebbe accontentare di procedere comodamente su nitida traccia fino al rifugio Vallandro… ma che gusto ci sarebbe… non sarebbe più un’esplorazione in stile Windchili! L’idea di base è che il Troi dei Milezinque sia invero la prima traccia storicamente aperta per arrivare a Prato Piazza. Una traiettoria diretta e veloce in mezzo al bosco, solo successivamente soppiantata dalla carrareccia e, ancora successivamente, dal sentiero CAI 37 (che di fatto si modella sulle linee della carrareccia). Pertanto, nei pressi del quinto tornante della carrareccia, ci addentriamo nuovamente nel bosco alla ricerca di una traccia e, dopo vario ravanage sul ripido versante orografico sinistro del Rio di Specie, ci imbattiamo finalmente in una morbida dorsale solcata da piuttosto evidente traccia (fig. 4).

fig. 4 Finalmente ritroviamo la traccia nel bosco

In breve, la traccia ci conduce fuori dal bosco, in una vasta radura prativa a valle della carrareccia (fig. 5). Procediamo quindi in direzione NW su comodi prati fino a che, in prossimità della curva a gomito a destra della carrareccia, si innesta una nitida traccia proveniente da un rilievo barancioso. La imbocchiamo e, facendoci strada tra i mughi, ci troviamo presto ad una quota di un cinquantina di metri a valle rispetto al Rifugio Vallandro, sopra una profonda ed angusta forra rocciosa che accoglie i primi salti del Rio di Specie (fig. 6).

fig. 5 La radura prativa dove spunta il Troi dei Milezinque
fig. 6 I primi salti di roccia del Rio Specie, prima di entrare nella profonda forra

Lasciata alle spalle la ripida forra, ci si apre di fronte un panorama delizioso: i noti verdi prati di Prato Piazza ci abbracciano e l’occhio non può che rilassarsi e godere di questo bucolico panorama (fig. 7 e 8).

fig. 7 Le sorgenti del Rio di Specie
fig. 8 I verdi prati di Prato Piazza

Traversando i prati senza via obbligata, ci teniamo leggermente a sinistra, puntando l’ora ben visibile Croda Rossa, fino a giungere ad uno steccato di legno. Lo saltiamo e scendiamo attraversando nuovi prati, fino a montare sul sentiero CAI n. 18. Procediamo per poche decine di metri sul sentiero n. 18, superando sulla sinistra il ponticello di legno che conduce alla Val dei Chenòpe e giungendo in breve ad una radura prativa dove sorgono alcuni casoni di legno. Superiamo un nuovo steccato di legno e, con deviazione sulla sinistra poco dopo una magnifica veduta da cartolina (fig. 9), giungiamo alla confluenza di ruscelli poco sopra Malga Stolla. Incredibile pensare che, solo tre settimane prima, questa confluenza era popolata di artistici ometti creati da qualche esperto e paziente artista dello stone balancing (vedasi fig. 6); qualche giorno fa, un violento acquazzone deve aver riempito d’acqua questa confluenza, spazzando via tutte le creative opere.

fig. 9 Poco dopo questa visione idilliaca, sulla sinistra, lasciamo il sentiero e deviamo nel bosco per una scorciatoia

Una volta attraversato il torrente, seguiamo il sentiero CAI n. 3 fino ad imbatterci in un evidente bivio (fig. 10). Sulla destra, indicato con tanto di freccia su masso, prosegue il sentiero n. 3. Sulla sinistra, invece, si sale sino a sbucare in una nuova radura prativa, ai piedi della brulla collina che dà accesso al Cadin di Croda Rossa. Teniamo quindi la sinistra al bivio ed iniziamo ad inerpicarci faticosamente tra roccette e zolle erbose (fig. 11), puntando leggermente verso destra, in direzione dello sperone orientale delle Cime Campale. La brulla collina ai piedi del Cadin di Croda Rossa è letteralmente cosparsa di residuati bellici; sappiamo, infatti, che venne utilizzata durante la II guerra mondiale come poligono di tiro e, a quanto pare, mai adeguatamente bonificata!

fig. 10 Il bivio: tenendo la sinistra si abbandona il sentiero CAI n. 3 e ci si accede al Cadin di Croda Rossa
fig. 11 Paolo affronta la faticosa salita della brulla collinetta

Giunti ai piedi dello sperone orientale delle Cime Campale, ci dirigiamo verso O, fino a trovarci al cospetto dell’imponente fronte del rock glacier ospitato nel Cadin del Ghiacciaio (fig. 12). Da questo punto, già si intravede il Cadin di Crodaccia, meta dell’odierna escursione, ma una breve divagazione all’interno del Cadin del Ghiacciaio è d’obbligo. Ci portiamo quindi nei pressi della metà del Cadin del Ghiacciaio, dove la fronte diminuisce di altezza, ed attacchiamo il ripido piano detritico (fig. 13).

fig. 12 Di fronte alla fronte del rock glacier di Cadin del Ghiacciaio
fig. 13 Attaccando la fronte del rock glacier di Cadin del Ghiacciaio nel punto apparentemente più agevole

Ed eccoci sopra il rock glacier! L’ambiente è suggestivo, affascinante, selvaggio. Sono lieto di vedere che Paolo nutre lo stesso entusiasmo e percepisce le stesse emozioni che questo luogo, già esplorato tre settimana fa, suscita in me. L’ultima volta che ho esplorato il rock glacier ospitato nel Cadin del Ghiacciaio mi sono trattenuto nella sezione apicale, ai piedi di Forcella Campale, per poi scendere direttamente nel lobo settentrionale. Il rock glacier, infatti, è suddiviso in due lobi: un lobo settentrionale ai piedi della Crodaccia Alta ed un lobo meridionale ai piedi delle Cime Campale. Maggiori approfondimenti sulle caratteristiche di questo rock glacier e sulla storia delle ricognizioni ad opera dei glaciologi possono essere trovati leggendo la relazione della traversata di Forcella Campale, compiuta tre settimane or sono. Nella giornata odierna, visto che il tempo sembra reggere, mi preme esplorare la linea di separazione tra i due lobi per verificare la presenza di affioramenti di ghiaccio, solo minimamente rilevati in sede di precedente ricognizione. Ci addentriamo quindi nel Cadin del Ghiacciaio, cercando di individuare la linea di demarcazione tra i due lobi… e presto la troviamo, distinguendo chiaramente una depressione lineare che solca longitudinalmente il Cadin del Ghiacciaio, coperta da ghiaie più “fresche”, segno di recente e costante movimento (fig. 14). Seguiamo dunque questa linea per poche decine di metri ed ecco i primi affioramenti di ghiaccio: il margine sinistro del lobo meridionale del rock glacier è completamente esposto, mettendo in luce piani inclinati, alti diversi metri, di puro ghiaccio compatto (fig. 15, 16 e 17). Altro che ghiaccio interstiziale!!! Questo rock glacier è al contrario un vero e proprio ghiacciaio coperto, solo in superficie, da un mantello detritico!

fig. 14 Trovata la linea di demarcazione tra i due lobi
fig. 15 Alla base delle pareti di ghiaccio defluisce l’acqua di fusione, creando probabilmente un rio sottoterraneo che confluisce nel laghetto termocarsico
fig. 16 Il margine sinistro del lobo meridionale svela compatte pareti di ghiaccio
fig. 17 Si distingue chiaramente la linea di separazione tra i due lobi, soggetta evidentemente a continui movimenti

Conclusa la ricognizione lunga linea centrale di suddivisione in due lobi, torniamo indietro, camminando ora sul lobo settentrionale del rock glacier. In breve, il nostro orecchio è catturato da sinistri suoni di crolli. Fortunatamente, io conosco già la causa di questi inquietanti rumori e tranquillizzo Paolo, che già sta scrutando con occhio vigile le vicine pareti: siamo ormai nei pressi del laghetto termocarsico ed i rumori che s’odono sono invero causati dal materiale detritico che dai margini estremi della riva crolla in acqua rotolando lungo le pareti ghiacciate. Nonostante abbia da poco visitato questo luogo, la meraviglia resta tale quale durante la prima esplorazione (fig. 18 e 19). Osservando le alte e compatte pareti di ghiaccio del laghetto, si ha ulteriore conferma che il rock glacier ospitato nel Cadin del Ghiacciaio altro non è che un vero e proprio ghiacciaio coperto da un sottile strato di detriti.

fig. 18 Il laghetto termocarsico svela la presenza di un vero e proprio ghiacciaio sotto il superficiale strato di detriti
fig. 19 I continui crolli lungo i bordi del laghetto termocarsico

Una curiosità: a quanto pare, nel 2015 il nostro laghetto termocarsico aveva un fratellino! Evidentemente, il tappo di ghiaccio sul fondo del laghetto si dev’essere sciolto, facendo così defluire l’acqua nei meandri del ghiacciaio!

fonte BING, immagine scattata il 27 agosto 2015

Terminata la contemplazione del laghetto termocarsico, ritorniamo ora all’obiettivo della nostra missione: l’esplorazione della valle conchiusa tra la Crodaccia Alta e la Crodaccia. Dal laghetto, fronte a valle, ci teniamo sulla sinistra fino ai piedi dello sperone orientale della Crodaccia Alta ed intravediamo pure un ometto! Costeggiamo quindi la parete rocciosa e, girato l’angolo, eccoci entrati nella valle innominata, d’ora in poi battezzata Cadin di Crodaccia (considerata la sua collocazione, dubito qualcuno possa sollevare obiezione di sorta!) (fig. 20 e 21).

fig. 20 Il Cadin di Crodaccia
fig. 21 Le colate detritiche dalla Crodaccia

Il Cadin di Crodaccia si presenta come una piccola valle celata, sul versante meridionale, dalle alte pareti rocciose della Crodaccia Alta e, sul versante settentrionale, dalle ghiaiose pendici della Crodaccia. Nel versante occidentale del Cadin di Crodaccia, là dove le compatte rocce della Crodaccia Alta si intersecano con le friabili colleghe della Crodaccia, si profila una forcella, non segnata sulla cartografia Tabacco. Non è da escludere che, percorrendo tale forcella (fig. 22), si riesca a trovare una nuova via per giungere in cima alla Crodaccia Alta oppure, più semplicemente, per compiere una traversata dal Cadin di Crodaccia al Cadin conchiuso tra la Croda Rossa Piccola e La Crodetta. Oggi, tuttavia, il meteo non ci permette ulteriori divagazioni e ci rimettiamo presto sulla via del ritorno. Scendiamo quindi lungo la ripida collinetta che confina con l’ancor più ripida fronte del rock glacier e ci immettiamo presto nel sentiero CAI n. 3. Di lì a breve, giungiamo a Malga Stolla per un pranzo ristoratore!

fig. 22 La possibile via per un’esplorazione futura
fig. 23 La discesa dal Cadin di Crodaccia, ai margini della dirupata fronte del rock glacier

Giusto il tempo di assaporare un delizioso tagliere di affettati ed il cielo inizia a coprirsi minacciosamente… finiamo in fretta e via di gran carriera traversando i prati di Prato Piazza sferzati da un piacevole vento fresco (fig. 24 e 25)! Scendiamo alternando tratti di sentiero n. 37 con pezzi del Troi dei Milezinque, ormai sotto una debole pioggia e contemplando un temibile temporale sul circo glaciale del Cristallo le cui pareti, in pochi minuti, diventano completamente innevate (fig. 26 e 27)! Tempo di arrivare alla macchina ed esplode il diluvio universale 😉 Anche questa volta ci è andata bene!

fig. 24 Il tempo sta cambiando quando siamo in Prato Piazza
fig. 25 Una nuvola minacciosa sta covando sulla cima del Monte Cristallo, ora nascosta dietro il Col Rotondo dei Canopi
fig. 26 Ed ecco il temporalone in Val Fonda
fig. 27 e le pendici settentrionali del Cristallo e del Piz Popena innevate!

Ringrazio Paolo per la sempre magistrale regia nel montare il video, sintesi perfetta dell’avventura trascorsa!

Per ulteriori approfondimenti, infine, non può mancare la lettura del report scritto da Paolo nel blog My Best Time Hiking!

Traversata di forcella Campale: dal Cadin di Croda Rossa al Cadin del Ghiacciaio

DIFFICOLTÀ COMPLESSIVA: EEA+. Calata di Forcella Campale: AD+. (Dovendo, come accaduto, risalire in arrampicata il tetto strapiombante, corrispondente al 4° tiro: D+).

Traversata alpinistica mediamente lunga e fisicamente non troppo impegnativa. La calata da forcella Campale al Cadin del Ghiacciaio si sviluppa su ca 150m, 100m D-, con necessità di effettuare almeno 6 calate (4 appoggiate, 1 strapiombante, 1 ripida). Nella sezione centrale, in disarrampicata, si raggiungono difficoltà di V grado. Da non sottovalutare la condizione della roccia, spesso marcia, che rende più difficoltosa la disarrampicata.

DISTANZA: 14 km – DURATA: 8,30 h – DSL: 1200m D+

DATA: 17 luglio 2022

PREMESSE

Una forcella è un valico che separa due valli. È quindi, idealmente, il punto di transito per passare da una valle all’altra… idealmente… vi sono infatti forcelle che, se da un versante si raggiungono più o meno agevolmente, dall’altro terminano nel vuoto. Io le chiamo ironicamente “forcelle terra-aria” 🙂 La Croda Rossa pare essere generosa quanto a forcelle terra-aria. La più nota è sicuramente Forcella Nord, la forcella più alta sciabile sulle Dolomiti. Si accede faticosamente su due piedi dalla Val Montejela ma si scende a quattro zampe dal lato di Forcella Nord. È un percorso di sci alpinismo piuttosto estremo ma risulta fattibile e se ne trova recensione. Altro esempio è poi Forcella Campale (Gumpalscharte). Vi si accede salendo un ripido ghiaione dal Cadin di Croda Rossa ma, giunti in forcella, si potrà scendere fino al Cadin del Ghiacciaio? È questo il quesito che Edoardo ed io ci siamo posti prima di intraprendere l’avventura. Descrizioni dell’itinerario non se ne trovano; questa è la prima relazione ad essere pubblicata. Prima di cimentarmi nell’avventura, ho ovviamente cercato di raccogliere tutte le informazioni del caso (pochissime). Un ringraziamento particolare al Maestro d’avventura dolomitica Paolo Beltrame e a Suo figlio che, disponibilissimi, hanno puntualmente riscontrato la mia richiesta di approfondimento sull’itinerario, confermando che la discesa di Forcella Campale ha carattere puramente alpinistico. Un ringraziamento speciale anche a Riccardo, che mi ha fornito i primi spunti di studio condividendo le foto del Cadin del Ghiacciaio e di Forcella Campale scattate dalla Crodaccia. Obiettivo della presente esplorazione non è, infine, esclusivamente appurare la fattibilità della calata da Forcella Campale al Cadin del Ghiacciaio ma anche verificare le condizioni dei due rock glacier collocati rispettivamente nel Cadin di Croda Rossa e nel Cadin del Ghiacciaio. Non si deve infatti dimenticare che l’Elenco dei Ghiacciai Italiani del 1925 rilevava l’esistenza del “Ghiacciaio di Croda Rossa”, cui emissario era il Rio di Stolla. Nel 1957, tale ghiacciaio risultava estinto.

RELAZIONE DELL’ITINERARIO

Lasciata l’auto nei pressi della casa abbandonata poco dopo il passo di Cimabanche, sulla sinistra, (1523m), si imbocca il sentiero CAI n. 18 e si risale la Val di Chenópe (Knappenfusstal) (dall’ampezzano chenòpo “minatore”, in tedesco knappe) sempre costeggiando il greto del torrente (fig. 1 e 2).

fig. 1 Seguendo il sentiero n. 18 che risale la Val di Chenópe
fig. 2 Edoardo sul sentiero n. 18, nel tratto che risale le pendici più settentrionali del Knollkopf

Dopo circa 45 minuti, si supera un piccolo ponte di legno e, nell’intersezione evidente con una mulattiera, si tiene la sinistra, raggiungendo in pochi minuti un’amena radura prativa, la cui vista si apre sul Cadin di Croda Rossa (fig. 3).

fig. 3 La radura prativa a valle del Cadin di Croda Rossa

Si procede quindi lungo l’evidente mulattiera sino ad uno steccato di legno che delimita l’area di pascolo. Entrati nella recinzione, è possibile alternativamente tenere la destra, seguendo il sentiero, oppure, senza via obbligata, risalire nel bosco rado, seguendo le umide zolle che indicano la presenza di una sorgente, sino a giungere ai ruderi di una casera (fig. 4).

fig. 4 Edoardo giunto nei pressi dei ruderi della casera

Superato il rudere, si continua in direzione NO sino a montare sul sentiero n. 3. Si guada là dove più rii confluiscono, non potendo non ammirare i giochi di stone balancing realizzati da qualche mano ferma e paziente (fig. 5 e 6).

fig. 5 La confluenza dei rii provenienti dalle valli superiori
fig. 6 L’arte dello stone balancing, sempre più frequente nei torrenti di montagna

Si tiene ancora il sentiero n. 3, per poche decine di metri, fino a giungere ai piedi di uno sperone roccioso; da qui, una debole traccia devia a sinistra, in direzione SO, fino a giungere ad una radura prativa particolarmente amata dalle vacche al pascolo. Si traversa la radura e ci si inerpica, senza via obbligata, su per una collinetta pressoché spoglia, in direzione SO (fig. 7). Impressionante il numero di residuati bellici, alcuni apparentemente piuttosto recenti, al punto da nutrire qualche perplessità sul fatto che risalgano alla prima guerra mondiale. Un bossolo reca la data del 1945… dovremo approfondire quale evento bellico ha coinvolto questo versante della Croda Rossa durante la seconda guerra mondiale…

fig. 7 La radura prativa vista dalla sommità della collinetta sulla quale si deve salire
fig. 8 Il resto di un razzo, oggi colonizzato da un ragnetto
fig. 9 Decine di resti di razzo costellano la via di salita. Il numero è tale che, in questo tratto, per la prima volta mi viene in mente il concetto di “inquinamento da residuati”.

Guadagnata la sommità della collinetta, si entra ora nel Cadin di Croda Rossa, tenendo la destra, ai piedi delle Cime Campale, su levigatissima roccia talvolta solcata dai tipici karren, parimenti molto comuni sul versante occidentale della Croda Rossa, in zona Fosses. È evidente il lavoro di erosione della roccia svolto dall’estinto ghiacciaio che, una volta, occupava il Cadin di Croda Rossa (fig. 10). Sorprende, inoltre, la qualità della roccia di Cima del Pin e delle Cime Campale, sul versante del Cadin di Croda Rossa; contrariamente alle aspettative, la roccia si presenta estremamente compatta e levigata, per nulla marcia; terreno ideale per gli amanti dell’arrampicata (fig. 11).

fig. 10 Entrando nel Cadin di Croda Rossa
fig. 12 Punta del Pin, 2682m, dal Cadin di Croda Rossa. Da notare la deformazione dei calcari in c.d. pieghe coricate a letto

IL ROCK GLACIER NEL CADIN DI CRODA ROSSA (già “Ghiacciaio del Pin”)

Pochi metri ancora e giungiamo ai piedi della fronte del rock glacier del Cadin di Croda Rossa (fig. 13). Il Catasto dei Rock Glaciers delle Alpi Italiane del 1997 stabilisce che il Cadin di Croda Rossa ospita un rock glacier la cui fronte si attesta intorno ai 2285m e la parte sommitale intorno ai 2385m, occupando una superficie di circa 130mila mq. Tale rock glacier, risalente ad un’epoca anteriore alla Piccola Età Glaciale (1300 d.C.), definito nel 1974 “Ghiacciaio del Pin” (Pin Ferner) dal glaciologo Corrado Lesca (C. Lesca, Bollettino del Comitato Glaciologico Italiano, 22, 1974, pag. 121), presenta solchi e creste trasversali, una fronte marcata ed un lobo ben sviluppato. Tuttavia questo rock glacier presentava nel 1997 una “uncertain activity“. Una decina d’anni più tardi, i ricercatori, a seguito di rilevamenti svolti tra il 2005 e il 2007, rilevavano che «Il rock glacier di Cadin di Croda Rossa non mostra affioramenti di ghiaccio e presenta strutture interne differenti indicando che probabilmente si tratta di un rock glacier con ghiaccio interstiziale (ice-cemented rock glacier)». (K. Krainer, K. Lang, H. Hausmann, Active rock glaciers at Croda Rossa/Hohe Gaisl, Eastern Dolomites (Alto Adige/South Tyrol, Northern Italy), in Geogr. Fis. Dinam. Quat., 33 (2010), 25-36).

fig. 13 La fronte del rock glacier del Cadin di Croda Rossa

Confermando le osservazioni svolte dai ricercatori, ad oggi possiamo confermare che la fronte del rock glacier è di per certo ben marcata (fig. 13), con una pendenza di 35-40° ed un’altezza di 50m, e si attesta a circa metà della strettoia tra la Punta del Pin e le Cime Campale nel Cadin di Croda Rossa. Non è stata pervenuta alcuna acqua di fusione nell’area ai piedi della fronte né alcun ghiaccio esposto una volta rimontata la fronte ed esplorata la superficie del rock glacier. Si conferma, invece, che il rock glacier è traversato longitudinalmente da evidenti solchi e le rocce sui cui progrediamo sono particolarmente mobili (fig. 14). Nei pressi della sezione sommitale del rock glacier, infine, è presente un’area innevata che, tuttavia, non sembra appartenere al ghiacciaio quanto, piuttosto, pare essere il lobo di un canale valanghivo proveniente dalla Croda Rossa, le cui nevi evidentemente sono perenni (fig. 15).

fig. 14 Il materiale instabile sulla superficie del rock glacier del Cadin di Croda Rossa
fig. 15 Il nevaio alimentato dalle valanghe provenienti da un ripido canale sulla parete orientale della Croda Rossa. Sullo sfondo, da destra a sinistra, le creste della Croda Rossa degradano fino alla ben visibile Forcella del Pin, per poi riprendere quota sino a Punta del Pin.

LA TRAVERSATA DI FORCELLA CAMPALE

Sebbene la salita a Forcella Campale appaia dal rock glacier piuttosto ripida (fig. 16), si rivela in realtà meno faticosa di quanto previsto. E pensare che Ugo di Vallepiana, nel 1925, scriveva che Forcella Campale si risaliva faticosamente “attraverso pendii di detriti della peggior specie“!!! (Ugo di Vallepiana, Dolomiti di Cortina d’Ampezzo, dal Cristallo per le Tofane alla Croda da Lago, Guide del Club Alpino Italiano, sezione unversitaria, 1925). Noi scegliamo di attaccare il ghiaione che scende dalla forcella sulla destra, cercando di poggiare i piedi sulle rocce più grandi e stabili (fig. 17).

fig. 16 Forcella Campale dal rock glacier del Cadin di Croda Rossa
fig. 17 L’inizio della salita alla forcella Campale

L’obiettivo è abbandonare quanto prima le mobili ghiaie e giungere ad una successione di speroni rocciosi che, nei pressi della sezione centrale della salita, ci forniranno più solido appiglio. Guadagnata la roccia, saliamo piacevolmente facendo scrambling (fig. 18, 19 e 20).

fig. 18 Guadagnate finalmente le solide rocce che ci garantiscono un più agevole incedere
fig. 19 Edoardo procede con lo scrambling
fig. 20 Ormai pochi metri e siamo in forcella Campale

Giunti in forcella Campale, emblematica è l’espressione di Edoardo 😉

fig. 21 “Edoardo, com’è la discesa???”

Sotto di noi, si sviluppa un canale bello marcio intorno a poco più di 50° di inclinazione (fig. 22). Ma, sorpresa delle sorprese, ci rendiamo subito conto che il nostro intento di aprire una nuova via non potrà essere coronato: troviamo infatti uno splendido e lucido spit sulla roccia a sinistra della forcella!!! Facciamo quindi una foto di rito in forcella ed iniziamo ad imbragarci (fig. 23). Sul versante opposto a noi, la Forcella Nord scende ripidissima e scariche di sassi che rotolano come proiettili nel Cadin del Ghiacciaio echeggiano minacciosi sulle pareti (fig. 24).

fig. 22 La calata inizia dentro un canalino di roccia marcia con pendenze intorno ai 70° che permette di raggiungere un ampio balcone ghiaioso.
fig. 23 La foto di rito in forcella!
fig. 24 La forcella Nord, la più alta forcella delle Dolomiti coi suoi 3000m, mette in comunicazione il Cadin del Ghiacciaio con la Val Montejela (Montesela).

Ci appropinquiamo quindi allo spit, aggirando con forte esposizione un enorme masso pericolante. Lo spit si trova a circa 2 metri di altezza, subito dopo il masso (fig. 25).

fig. 25 Edoardo aggira l’instabile masso per allestire la manovra di calata

“Longiato” sullo spit, lascio ad Edoardo l’onore di aprire la calata! Il fondo del canale si presenta quasi terroso, totalmente friabile. Edoardo si cala per circa una ventina di metri fino a che, sul bordo di destra del canale, individua un secondo spit (fig. 26 e 27). Tocca ora al sottoscritto: infilo il secchiello, mi faccio un machard ed inizio la calata che concludo in un paio di minuti.

fig. 26 Edoardo inizia la calata su fondo quasi terroso
fig. 27 Gli ultimi metri del primo tiro di calata

Ogni recupero di corda deve essere effettuato con la massima cautela poiché smuoviamo terreno che ci rotola addosso (fig. 28).

fig. 28 Recuperando la corda e, con essa, un po’ di sassolini 🙂

Con ulteriori due “calate appoggiate”, di circa 20 e 35 metri, approdiamo ora su un grande cengione ghiaioso, che segna il termine del canale, i cui bordi degradano nel vuoto (fig. 29 e 30). Al centro di questa grande cengia, sulla parete, troviamo un chiodo cui ci leghiamo per scendere fino al bordo della cengia (fig. 31); si tratta ora di scendere di circa un metro sulla parete, in totale esposizione ma su comodo gradino e beneficiando di un appiglio su stretta fessura trasversale, fino a trovare un piccolo pulpito dove ci attende una sosta già allestita con spit + chiodo (fig. 32).

fig. 29 La terza calata
fig. 30 Edoardo si avvicina alla larga cengia che segna il termine del canale
fig. 31 Nei pressi del cerchio rosso si trova il chiodo per assicurarsi e scendere fino alla sosta successiva
fig. 32 Con un po’ di entusiasmo e coraggio ci si deve affacciare sul bordo della cengia e scendere di circa un metro, con esposizione molto elevata, fino a trovare un piccolo balconcino con la sosta già allestita

Giunto alla sosta, attacco il moschettone della longe allo spit e tiro un sospiro di sollievo! Ora Edoardo ha recuperato la corda mi raggiunge sul piccolo pulpito (fig. 33).

fig. 33 Edoardo si appresta a raggiungere il pulpito aereo dove abbiamo trovato la sosta

Ci prepariamo per le manovre di calata e lanciamo la corda nel vuoto. Questa volta, però, non vediamo dove la corda atterra! La roccia sotto di noi, infatti, precipita con un probabile tetto (a breve scopriremo che l’ipotesi era ben fondata!) (fig. 34). Non c’è altro da fare che andare in perlustrazione. Edoardo aumenta le spire del machard e si cala fino a scomparire nel vuoto. E qui inizia un’interminabile e stremante attesa. Sono immobile su un pulpito che non mi concede grande libertà di movimento. Siamo all’ombra (ad occhio non batte mai il sole in questo tratto di parete) e tira un bel venticello che dalla valle si incanala nella Forcella Campale. Maniche corte e smanicatino non si rivelano la scelta più azzeccata in questo tratto di calata; tuttavia, sono così esposto che non mi fido di togliere lo zaino e cercare il goretex (che sicuramente sarà sotto di tutto)… quindi inizio a soffiare aria calda sulle mani, badando di non smuovere qualche sassolino su quel mezzo metro di balconcino. Finalmente, arriva il via libera di Edoardo che, nel frattempo, è riuscito ad atterrare e trovare un punto sicuro una decina di metri sotto il tetto. Controllo ripetutamente che le ghiere dei moschettoni siano ben serrate intorno al secchiello e al machard e… via, calata nel vuoto, per circa venticinque metri.

fig. 34 La corda scompare nel vuoto…

Ed eccoci al termine della calata strapiombante, superata una grotta dalle cui fessure scendono gocce che si trasformano in un rigolo d’acqua (fig. 35). L’atterraggio avviene su un comodo e sicuro balconcino, che mi permette di togliere lo zaino e mettermi una maglia tecnica per recuperare un po’ di calore! Ci attendono però ora due sorprese: la prima, non troviamo altri spit e, sotto di noi, v’è un bel secondo ripido salto. Inoltre, in fase di recupero della corda con il sagolino, qualcosa non funziona e le corde restano bloccate! Quest’ultima è davvero una bella rogna ed Edoardo è costretto a risalire la parete strapiombante su roccia marcia con passaggi di V grado, liberare le corde e ridiscendere (fig. 36).

fig. 35. Giunto al termine della calata strapiombante, indossando finalmente qualcosa di caldo!
fig. 36 Edoardo scende per la seconda volta dopo aver liberato la corda a monte. Si nota distintamente la grotta dalle cui fessure promana acqua

Liberate le corde, dobbiamo ora pensare a come calarci poiché, nonostante le esplorazioni della parete nei dintorni, non troviamo davvero alcun chiodo infisso (fig. 37) Tale circostanza fa riflettere: evidentemente, la via è stata chiodata con gli spit da qualche sciatore nel periodo invernale. Terminata la parete strapiombante, infatti, è verosimile pensare che lo sci-alpinista abbia affrontato il pendio rimanente, fino al Cadin del Ghiacciaio, sciando. L’accumulo di neve, infatti, tenderà sicuramente a smorzare quei primi metri al 90/100% di pendenza che ci attendono; poi, dopo una decina di metri di dislivello, la parete inizia a gradonarsi, diminuendo così drasticamente l’inclinazione e rendendo ben appetibile la discesa. Noi, però, non abbiamo la neve, e quella decina di metri totalmente aerei ci obbligano a trovare una soluzione sicura per essere superati. È quindi il momento di tirare fuori i chiodi ed allestire una sosta (fig. 38).

fig. 37 Edoardo alla ricerca (infruttuosa) di qualche spit o chiodo
fig. 38 Edoardo conficca due chiodi per allestire la penultima sosta

Nel mentre Edoardo martella, la Crodaccia Alta ci osserva, con le sue tipiche “tasche paleocarsiche” che quasi le conferiscono grottesche sembianze umane (fig. 39). Nel sottofondo, scariche di sassi dalla Forcella Nord si alternano a sinistri crolli nei pressi del lago del Cadin del Ghiacciaio (fig. 40).

fig. 39 La singolare parete meridionale della Crodaccia Alta
fig. 40 Il Cadin del Ghiacciaio, con il tipico lago in prossimità della fronte

Una volta allestita la sosta, Edoardo si cala per l’ultima ripida parete. Io controllo attentamente i chiodi, verificando che non si muovano di un millimetro (fig. 41).

fig. 41 La sosta allestita prima dell’ultima calata

Tocca quindi a me scendere e supero abbastanza agevolmente gli ultimi venti metri di parete verticale approdando su un comodo gradone di ghiaia (fig. 42).

fig. 42 L’ultimo tratto di parete verticale prima di giungere sui più comodi gradoni

Ora il gioco è fatto e tiriamo un sospiro di sollievo!!! (fig. 43 e 44). Per affrontare gli ultimi trenta metri di gradoni friabili, scendo io per primo ed Edoardo mi fa sicura piantando un ultimo chiodo, giusto perché ogni appiglio che tocco mi resta in mano 😉

fig. 43 Espressione soddisfatta nr. 1!
fig. 44 Espressione soddisfatta nr. 2!!!

Giungo quindi a fine corda e mi slego, procedendo sugli ultimi gradoni friabili prima di saltare sulle ghiaie del Cadin del Ghiacciaio e portarmi fuori tiro dalle eventuali scariche che Edoardo dovesse smuovere discendendo.

fig. 45 Edoardo si appresta a scendere l’ultimo tiro. In rosso, i tiri di calata una volta usciti dal canale detritico

IL ROCK GLACIER NEL CADIN DEL GHIACCIAIO

Appena messo piede sul Cadin del Ghiacciaio, mi rendo conto che la parte apicale è effettivamente un enorme nevaio su cui le sovrastanti cime scaricano continuamente materiale (fig. 46). La parete della Cima Campale a ridosso della via di calata, in particolare, appare marcissima e devastata dai crolli (fig. 47). Sul versante opposto, la Forcella Nord scarica costantemente materiale. Ci allontaniamo quindi velocemente da questa area tormentata dalle frane e, con divertente sciata sul nevaio inclinato, ci dirigiamo verso il centro del Cadin del Ghiacciaio (fig. 48).

fig. 46 Il nevaio coperto dalle scariche delle cime sovrastanti
fig. 47 Sulla sinistra rispetto alla via di calata (guardando dal Cadin), la parete di Cima Campale è soggetta a continui crolli. Non proprio quello che si definerebbe “the best place to be”, sicché leviamo i tacchi e ci portiamo velocemente al centro del Cadin del Ghiacciaio
fig. 48 Sciando sulla parte apicale del Cadin del Ghiacciaio

Il sopra citato studio di Krainer, datato 2010, conferma le nostre osservazioni, concludendo che :

«le strutture interne (piani di scorrimento) e particolarmente gli affioramenti di ghiaccio nella parte superiore del rock glacier di Cadin del Ghiacciaio indicano chiaramente che questo rock glacier si è sviluppato da un ghiacciaio di circo coperto da detrito che si trova in condizioni di permafrost ancora oggi. Presumiamo che questo rock glacier si sia sviluppato da un piccolo ghiacciaio di circo alimentato da valanghe in una fase di ritiro a causa del mancato trasferimento alle acque di fusione dei sedimenti trasportati dal ghiacciaio».

K. Krainer et alia, Id.

Ciò che sorprende, peraltro, è che questo rock glacier presenta caratteristiche morfologiche differenti rispetto al rock glacier ospitato nel Cadin di Croda Rossa. Innanzitutto, si trovano di tanto in tanto delle piccole depressioni, quasi delle doline; come se il ghiaccio sottostante le rocce fosse ceduto e/o si fosse formato un imbuto naturale/inghiottitoio (fig. 48 e 49).

fig. 48 Depressioni che lasciano presagire la presenza di un inghiottitoio nel sottostante ghiacciaio
fig. 49 Ancora improvvise depressioni sulla superficie del rock glacier

Sorprendono, inoltre, le dimensioni di questo rock glacier. Krainer stabiliva che

«the rock glacier is 850 m long, 300-550 m wide and covers an area of 0.3 km2. The rock glacier extends from an altitude of 2340 m at the front to about 2500 m. The average gradient of the surface is 5°».

Tali misurazioni, confrontate con i primi rilievi svolti da Rictcher nel 1888, mostrano una regressione dell’apparato glaciale di una decina di metri. Nella parte centrale del rock glacier, si percepisce una divisione in due lobi; notiamo infatti ghiaie più “fresche”, risultato di un certo dinamismo sulla superficie… tale linea segna la demarcazione tra i due lobi e, nella parte apicale del rock glacier, emerge chiaramente il ghiaccio esposto, corrispondente con il margine sinistro del lobo meridionale (fig. 50).

fig. 50 Ghiaccio esposto poco sotto la superficie del rock glacier, in prossimità della suddivisione in due lobi

Incredibile pensare che, in alcune zone del rock glacier, il sedimento che ricopre il ghiacciaio è davvero poco spesso; secondo Krainer

«in the upper part massive ice is exposed during the summer months at several places below a less than 1 m thick debris layer. Locally the debris layer is only about 10 cm thick».

Tant’è che, a parere dello scrivente, la definizione di rock glacier non sembra propriamente calzare al caso di specie… più che rock glacier, questo apparato sembra un vero e proprio ghiacciaio sormontato da una copertina di detrito. Un mantello che preserva il ghiaccio sottostante sicuramente da oltre un secolo; già nel 1907, infatti, il glaciologo Marinelli descriveva il ghiacciaio come quasi completamente coperto di detrito superficiale. Lo stesso asseriva il glaciologo Lesca nel 1974, rilevando che il ghiacciaio era «per gran parte ricoperto da morena superficiale» (Lesca, Id.). Ciò è confermato dalla visita all’incantevole e tipico laghetto termocarsico, collocato sul lobo settentrionale, poco più a valle. Il lago presenta inclinate pareti di ghiaccio esposto e compatto, alte fino a venti metri sul versante idrografico sinistro della valle, che “letteralmente” si sciolgono al sole riversando acqua dentro il bacino. Sottolineo il concetto di “ghiaccio compatto”, per nulla mescolato al detrito, confinato al solo margine superiore delle pareti. Man mano che il ghiaccio si scioglie, precipitano dentro il laghetto le rocce che costituiscono lo strato superficiale del rock glacier, quasi vi fosse un preciso equilibro tale per cui la profondità del laghetto non può incrementarsi, perché la quantità di acqua di fusione riversatavi è in rapporto perfetto con la quantità di rocce che vi crollano dentro (fig. 51, 52, 53). Affascinante pensare che il ghiaccio che vediamo e tocchiamo risale alla Piccola Era Glaciale, ad un periodo quindi compreso tra la metà del XIV e la metà del XIX secolo (ISPRA, Note Illustrative della Carta Geologica d’Italia – Foglio 016 Dobbiaco, pag. 175).

fig. 51 Il laghetto termocarsico nel rock glacier del Cadin del Ghiacciaio
fig. 51 Le pareti di compatto ghiaccio, fino a venti metri d’altezza, sono ricoperte da un relativamente sottile strato di sedimento roccioso
fig. 53 Man mano che il ghiaccio esposto si scioglie, viene meno il supporto delle rocce superficiali che rotolano dentro il laghetto termocarsico

Una curiosità: studiando le immagini satellitari messe a disposizione dal servizio BING, scopriamo che, nell’agosto del 2015, il laghetto termocarsico aveva pure un fratellino!!! Evidentemente, il tappo di ghiaccio sul fondo si è poi sciolto, facendo defluire l’acqua nei meandri sotterranei del ghiacciaio.

fonte BING, immagine scattata il 27 agosto 2015

Dopo aver contemplato con meraviglia il laghetto, ci dirigiamo verso la fronte del rock glacier. Questa è alta almeno 30 metri e ben ripida (35°/40°), al punto che dobbiamo procedere lungo il perimetro della fronte, sul lobo meridionale, la cui fronte è meno ripida di quello settentrionale, fino a raggiungere un pendio di altezza più contenuta per poter scendere, non a fatica (fig. 54).

fig. 54 L’imponente fronte del rock glacier del Cadin del Ghiacciaio

Abbandonata definitivamente l’area del ghiacciaio, ci teniamo ora sulla destra, a ridosso dello sperone orientale delle Cime Campale (fig. 55), scendendo comodamente lo scosceso pendio tra radi mughi, fino ad incrociare nuovamente la radura popolata da vacche al pascolo. Di lì, per la via dell’andata, è d’obbligo una sosta ristoratrice a Malga Stolla. Nel giro di un’oretta, sempre per la stessa via dell’andata, si rientra al parcheggio presso Cimabanche.

fig. 55 L’inedita vista che si apre ai piedi dello sperone meridionale delle Cime Campale, verso le Tre Cime di Lavaredo
fig. 56 La discesa, senza via obbligata, fino alla radura adibita a pascolo