Esplorando il Forame: il sentiero dei Volontari Alpini del Cadore e degli Alpini del Fenestrelle

DIFFICOLTÀ COMPLESSIVA: EEA (le uniche difficoltà consistono nel farsi strada per decine di metri tra i fitti baranci e nell’indovinare/svolgere la calata dentro il pincipale canalone che taglia il sentiero)

DISTANZA: 8 km (fino a metà sentiero) – DURATA: 3.30 h – DSL: 490m D+

DATA: 3 settembre 2023

Premesse

Il tutto nasce dalla lettura del libro di Dino Colli et alia, “Itinerari segreti della Grande Guerra nelle Dolomiti”, vol. III, 2005, Guide Gaspari. Più precisamente, mi sono imbattuto nel capitolo dedicato alla scomparsa traccia battezzata “Sentiero dei Volontari e degli Alpini del Fenestrelle”. Ma, soprattutto, ho trovato due mappe stilate in tempo di guerra. Eccole a seguire.

Come fare a resistere? Due indizi così preziosi… la seconda mappa, in particolare, così chiara e ben definita… Ho quindi recuperato una recente mappa cartacea e mi sono messo con pazienza e cura a disegnare la traccia del sentiero scomparso. L’itinerario che ne risulta è un sentiero relativamente corto, indicativamente 2,5km, che si sviluppa sulla sezione meridionale del Forame. Il Forame, come lo descrive Antonio Berti, è

l’ultima propaggine nord del contrafforte roccioso nord-ovest del Gruppo del Cristallo; è una propaggine quasi tutta rocciosa e sabbiosa, bucherellata e frantumata per se stessa e per effetto del martellamento di fucili, mitragliatrici e cannoni

A. Berti, 1915-1917 Guerra in Ampezzo e Cadore, Mursia, 1992, pag. 85

Non a caso, “foràme” significa proprio burrone, fenditura rocciosa, ad indicare i vari impluvi e canaloni che solcano queste pendici.

Peraltro, la più completa fonte storica che mi ha permesso di ricostruire vicende ed aneddoti della guerra nel Forame sono le precise narrazioni dell’alpino Edgardo Rossaro, pubblicate su “Con gli alpini in guerra sulle Dolomiti”, Mursia, 2018. A partire dall’estate 1916, in particolare, il territorio del Forame fu presidiato dal Battaglione Alpini Fenestrelle e dal Corpo Volontari Alpini del Cadore, comandato dal capitano Celso Coletti. Rossaro, arruolatosi tra i Volontari Alpini nel 1914, specificava che

il Corpo o Reparto Volontari Alpini del Cadore esisteva da anni, prima della guerra. Questo corpo, fondato dal maggiore Edoardo Coletti, era paragonabile ai Reparti Premilitari degli anni Trenta. Era nato per generazione spontanea in paesi di frontiera, dove il contatto con il secolare nemico e il ricordo delle antiche lotte sempre vivo nelle popolazioni, mantenevano uno stato di incompatibilità con il vicino. (…) I Volontari Alpini non vestivano la divisa né portavano stellette, ma li distingueva il solo cappello, di cui erano orgogliosi.

Successivamente, Antonio Berti definiva i Volontari come

una compagnia di autentici volontari, recluati tra i montanari delle valli cadorine, originariamente destinati al servizio territoriale, ma, fin dal luglio 1915, schieratisi in prima linea e già provati da aspri combattimenti sul Peralba, a Passo Sesis, in Val Visdende.

In occasione della presente esplorazione, insieme al Gila, amico ed appassionato di storia militare, cercheremo di individuare il sentiero che traversava il Forame, strategico passaggio della fanteria italiana dalle retrovie di Ponte Stombi alla prima linea delle Punte del Forame. Come si leggerà a breve, abbiamo sì trovato il sentiero ma l’esplorazione si è fermata a metà esatta dell’itinerario, a causa di un ostacolo che abbiamo reputato “temporaneamente insuperabile”… ma non è finita qui!

Relazione dell’itinerario (I° tentativo)

Lasciata l’auto nei pressi di Ospitale, imbocchiamo il sentiero CAI n. 203, che inizia qualche metro a valle della passeggiata della Ferrovia, traversato il Rio Felizón. Il sentiero prende quota e devia a breve verso SE, costeggiando la ripidissima forra del Rio Bosco, all’imbocco della Val Grande. Si procede sino a trovare una piccola radura nella quale si innesta, sulla sinistra, il sentiero che conduce alla ferrata Ivano Dibona. Si prende quindi questo sentiero e lo si segue fino a quando il sentiero svolge una brusca curva sulla destra. Il sentiero dei Volontari e degli Alpini del Fenestrelle parte esattamente da questa curva a gomito (fig. 1). Trattasi di un’esile traccia nel bosco (fig. 2) che, attestandosi a quota 1750 ca, si spiega sulle pendici del Col dei Stombe (2013m), diventando a tratti più nitida laddove si traversano radure più spoglie di vegetazione (fig. 3). L’itinerario segue dapprima la direzione NO, per poi piegare verso E. Se talvolta la traccia tende a perdersi, ritroviamo la via rinvenendo antichi tagli di radici e baranci, ormai secchi e pietrificati (fig. 4).

fig. 1 – Là dove il sentiero compie una brusca svolta a destra, si imbocca a sinistra, in mezzo al bosco.
fig. 2 – L’esile traccia in mezzo al bosco
fig. 3 – La traccia diviene più nitida quando si abbandona la fitta vegetazione del bosco
fig. 4 – I preziosi indizi di questo itinerario

Si prosegue ora in direzione E, spesso aderenti agli speroni rocciosi alla base del Col dei Stombe (fig. 5), iniziando a traversare una serie di canali. Quattro canali, per la precisione, nei quali entriamo ed usciamo senza alcuna difficoltà, incedendo su un terreno sicuro senza mai perdere la traccia. Tra questi canali, individuiamo i resti di un trinceramento (fig. 6) nei cui pressi giacciono, inviolati, piccoli depositi di residuati della prima guerra mondiale (scarpe, gavette, scatolette di cibo, schegge di granate, proiettili… e tanto altro… (fig. 7, 8, 9 e 10). In uno di questi canali, inoltre, si svolgono i drammatici istanti raccontati da Edgardo Rossaro.

Avevamo già superato il lungo camminamento, quando, a un alt, il tenente mi fece chiamare: si trattava di fare un piccolo disegno per un capitano, uno schizzo planimetrico delle posizioni avanzate. Affare di mezz’ora. Obiettai: «Ma come farò a raggiungerli? È quasi buio e io oltre il 3° posto di collegamento non conosco la strada». «Le manderò incontro un compagno pratico.» Infatti, prima ancora del 3° collegamento, trovai Da Rin che mi veniva incontro. Era ormai buio fitto; piovigginava. Ma il buon amico si appese alla schiena un fazzoletto bianco, perché potessi, seguendo quel segno più chiaro, trovare la direzione. «Sta attento, ora in questa valletta, perché fanno un continuo tiro di sbarramento. Segui la linea dei sassi che si vede più chiara, e parti di corsa subito dopo arrivata una granata. Andiamo uno per volta per offrire minor bersaglio. Per fortuna il punto pericoloso è breve». Proprio davanti a noi una granata scoppiò con uno schianto infernale e illuminò di luce livida la stretta fenditura tra due massicci. Doveva certo essere un grosso calibro. S’era appena spenta la fiammata che Da Rin disparve. «Ora tocca a me.» L’altro colpo non si fece attendere più di un minuto, il tempo per passare di corsa. Appena tornò il buio, dopo la fiammata, mi slanciai, purtroppo però senza vedere, ché il bagliore improvviso mi aveva del tutto accecato; cercai di andare diritto davanti a me, ma d’un tratto inciampai e prima che potessi rendermi conto, mi trovai come chiuso in una morsa, bocconi dentro la fenditura di una roccia.  La situazione non era affatto piacevole: tentai di tirarmi fuori per fuggire, ma ero rimasto come avvitato in quella crepa, il sacco ci si’era incastrato e per quanto mi sforzassi non riuscivo più a cavarmi fuori. Sentivo la voce di Da Rin che gridava: «Presto Rossaro!» Spingevo con la forza della disperazione, puntando le mani e le ginocchia, quando intesi un sibilo terribile, poi uno schianto che fece tremare il sasso: mi trovai come avvolto da una vampata e sentii un terribile urto contro la persona (ma più grave al ventre e alla testa); avevo la sensazione di aver sfondate le orecchie e di essere ferito all’addome. Non so come fu che mi alzai, senza altra fatica e stavo fuori della buca a mezzo il corpo, cercando di sollevarmi, quando sentii che qualcuno mi toccava. Davanti a me stava Da Rin. Egli agguantò il mio fucile e presomi per un braccio mi trascinò via di corsa. Dietro un sasso si fermò: mi fece accucciare e, col viso contro il mio, doveva gridare, perché muoveva energicamente la bocca, ma io non sentivo nulla. A ogni modo intesi il gesto che doveva preoccuparsi di eventuali ferite. Portai le mani alla testa e al ventre; ma nulla di bagnato attestava sangue; dovetti costatare che non avevo alcuna ferita. Solamente ero rimasto sordo. La granata era scoppiata sull’orlo della spaccatura, ma, come sempre, l’esplosione avvenendo in altezza, mi lasciò incolume pure dandomi un fortissimo contraccolpo per lo spostamento d’aria.

Edgardo Rossaro, Id., pag. 114-115.

fig. 5 – I primi speroni rocciosi del Col dei Stombe
fig. 6 – La caverna artificiale nei pressi del trinceramento
fig. 7 – Che cos’è? Uno scudo? Una base di piccolo mortaio deformata? In ogni caso, è evidente la “rattoppatura” ed un piccolo foro di proiettile.
fig. 8 – I tanti resti trovati lungo il sentiero
fig. 9 – Schegge di granate si rinvengono di tanto in tanto
fig. 10 – Un caricatore intatto

Siamo ora giunti esattamente a metà del sentiero e troviamo la via sbarrata da un fitto intrigo di baranci (fig. 11). Con fatica e cautela li penetriamo ed avanzo in perlustrazione (fig. 12)… sono molto preoccupato poiché la cartina militare indica, nei pressi del canalone che a breve dovremmo attraversare, una forte pendenza dei cigli del medesimo… per esperienza, quando vi sono le “lineette” ai bordi di un canalone, significa che troverò una parete a picco. E così è. Mi ritrovo effettivamente sull’orlo di una parete rocciosa alta circa una decina di metri e non riesco nemmeno ad affacciarmi per vedere il fondo. Impensabile calarsi in doppia perché non vedo baranci affidabili per una calata potenzialmente nel vuoto. Scelgo quindi di perdere quota in mezzo ai baranci e scendo, tra mille tribolazioni e ravanage, di circa una cinquantina di metri lungo il ciglio meridionale del canalone. A questo punto, individuo una ripida parete ghiaiosa che permetterebbe l’accesso dentro il canalone. Riesco a vedere il punto di atterraggio e la calata sarebbe fortemente poggiata. C’è pure un bell’abete robusto sul ciglio. Non solo, come se tutti questi elementi non bastassero, individuo pure sull’opposta parete ghiaiosa del canalone un’esile traccia che potrebbe a tutti gli effetti coincidere con la prosecuzione del nostro sentiero. Tale traccia, tuttavia, si perde nel fitto dei mughi che, simmetricamente, ricoprono il costone settentrionale del canalone. Che fare? Penso che il mio amico Gila potrebbe uccidermi se gli proponessi altri duecento metri di attraversamento di baranci 😉 Inoltre, mi spaventa l’alea della via di fuga. Qualora non fossimo in grado di procedere sull’altro versante del canalone, potremmo non essere più in grado di rimontare il bordo meridionale del medesimo, dove ora mi trovo. Saremmo quindi costretti a scendere sul fondo del canalone che, per quel poco che riesco a intravvedere, sembra ben scavato e potrebbe riservarci qualche audace salto di roccia nei cento metri di dislivello negativo fino a valle. A malincuore, la scelta più saggia oggi è abbandonare e fare retrofront.

fig. 11 – L’inizio del muro di baranci
fig. 12 – La gioia del Gila

Abbiamo quindi scelto di tornare indietro. La macchina è però a vista, lungo la strada, e l’idea di ripercorrere tutto il sentiero non è mai divertente… Iniziamo quindi a scendere lungo un canale erboso che si stringe sempre maggiormente. Sulla carta Tabacco, le isoipse appaiono ben distanziate e non risultano salti di roccia… maledetta carta Tabacco! Se fosse per le carte Tabacco sarei già morto una dozzina di volte. Come temevo, due gradoni rocciosi ci separano dal fondo della valle. Circa una ventina di metri di salto; il primo affrontabile in disarrampicata con cautela, alto circa cinque metri. Il secondo, invece, appare moooolto strapiombante. (ecco perché si chiama “foràme”!!!). E, come sempre, i rami piegati dei mughi che mi circondano non mi offrono alcuna garanzia di riuscita di una calata. Il Gila è sconfortato, e pure io. Ci tocca risalire di quasi un centinaio di metri di dislivello il canale erboso, per poi intercettare nuovamente il nostro sentiero e rientrare per la via di andata. Oggi va così. Siamo completamente disidratati ed il pensiero delle birre che berremo a breve a Malga Misurina cancella ogni perplessità su quale sia la via ora da percorrere. Ma non è finita qui. Conto di ritornare nell’arco dei prossimi due mesi per completare l’itinerario, in caso percorrendolo al contrario dalle sorgenti del Rio Felizòn e sino al canalone che oggi ha bloccato la nostra avventura. Lascio quindi i puntini di sospensione alla presente relazione, riservandomi di integrarla a stretto giro!

… to be continued!