DIFFICOLTÀ COMPLESSIVA: EEA. Cengia “Raule”: PD-, con unico passaggio esposto di II grado, che richiede assicurazione e passo sicuro.
DISTANZA: 17,8km – DURATA: 8.20 h – DSL: 1300 m D+
DATA: 18 giugno 2022
PREMESSE
Con questa traversata andiamo a completare tutte le possibili interpretazioni di itinerario (note) nel massiccio centrale del Cristallino di Misurina. Lo spunto viene dall’amico Riccardo, anch’egli appassionato esploratore di nuove vie e di antiche tracce dimenticate. A sua volta, Riccardo ha seguito le orme di Vittorino Mason che, in memoria di un amico perito in montagna, ha nominato tale cengia “Raule”, descrivendone per la prima volta l’itinerario nel “Libro delle Cenge, 56 vie orizzontali nelle Dolomiti”, datato 2013. Successivamente, la cengia Raule è stata percorsa e descritta da Fabio Cammelli, nel numero di Le Alpi Venete, primavera/estate 2020. Hanno raccolto l’invito ad esplorare questa cengia sconosciuta gli amici Paolo ed Edoardo.
RELAZIONE DELL’ITINERARIO
Lasciata l’auto nei pressi del Ponte de la Marogna, si traversa il greto verso SE fino a risalirne la sponda ed imboccare una debole traccia parzialmente coperta dalla florida vegetazione. Si cammina pochi minuti nel bosco per poi entrare in una radura costituita da una lingua franosa (bolli su alberi e rocce); la si traversa in diagonale e si rimonta per una nitida traccia nel bosco che subito prende quota. In pochi minuti si giunge alla postazione militare con lapide commemorativa della prima guerra mondiale (fig. 1) (per questo primo tratto, vedasi anche la relazione della salita alla forcella Cristallino).
Si aggira sulla sinistra la lapide e si segue la traccia, badando di non farsi tentare dal proseguire nel corso delle innumerevoli trincee che tagliano il bosco. In questo tratto, la traccia si snoda all’incirca presso la sponda orografica destra del rio che proviene dalla Val Cristallino; si ode il gentile fragore delle cascatelle, senza però mai vederne il corso. Nel giro di pochi minuti si giunge ad un punto chiave: la traccia entra perpendicolare nel solco di una trincea, ai piedi di una ripida collinetta. L’intuito suggerirebbe di procedere a destra, ove la trincea appare più aperta e di facile percorribilità; al contrario, la traccia prosegue a sinistra: un grosso masso sul sentiero reca un bollo scolorito che indica e conferma la via. Di lì a breve il sentiero diventa sempre più evidente ed aperto, fino a procedere in falsopiano. Si procede quindi in direzione del ponte di Val Popena Alta. Secondo la cartografia Tabacco, si tratterebbe ora di imboccare un traccia che si innesta perpendicolarmente, a monte, in corrispondenza di un rio che taglia la traccia principale. Il rio appare asciutto e consiste in una lingua franosa che si appoggia timidamente al sentiero. Noi abbiamo scelto di risalire nel bosco ma la traccia riportata dalla Tabacco non la abbiamo mai incrociata. Dopo una ventina di minuti di salita, invece, ci troviamo finalmente su un sentiero che sembra un’autostrada, con tanto di ometti, proveniente da SE… dovrebbe trattarsi della traccia più alta che collega l’imbocco della Val Popena Alta, nei pressi del sentiero 222, con la Val de le Bance… resta fermo il fatto che in pochi minuti questo nuovo sentierone ci porta sul versante orografico destro della deserta Val de le Bance (fig. 2).
Entrati in val de le Bance, si comincia a risalire il ghiaione, dapprima tenendosi sul versante orografico destro, per poi tagliare nettamente in diagonale la valle portandosi sull’opposto versante orografico (fig. 3), ai piedi della strozzatura tra la Croda de le Bance e lo sperone settentrionale della Croda Mosca, ove idealmente dovrebbe scorrere il rio che solca la valle (fig. 4)… pensare che esattamente 143 anni fa W. Eckerth saliva questa valle insieme a Michel Innerkofler, descrivendo il rumoreggiare della cascata all’interno della forra. Giunti alla base della strozzatura, si consiglia di non imboccare direttamente il greto del rio ma di salire con facile arrampicata sulle rocce alla base della parete sul versante orografico destro. Ciò permette di superare un paio di non agevoli piccoli salti di roccia.
Si sale quindi lungo i gradoni rocciosi sulla sponda orografica destra del rio (fig. 5), fino ad intravedere un ometto sul versante opposto, che ci indica l’obbligo di traversare il rio e risalire ai piedi della Croda Mosca (fig. 6). Scrivo “obbligo”, non a caso; procedendo, infatti, lungo il solco del rio, ci si imbatte in un salto di roccia alto poco più di un paio di metri il cui superamento in salita richiede abilità d’arrampicatore non scontate (vedasi il superamento di tale salto in discesa in fig. 33, 34 e 35 in occasione della discesa di val de le Bance il 30 ottobre 2021).
Più si sale più la val de le Bance assume le sembianze di una brulla gola il cui fondo instabile rallenta la salita (fig. 7). Scriveva W. Eckerth nel 1879 sulla valle de le Bance che,
«chiusa ai lati dalle ripide pareti delle dorsali del Cristallino, essa si restringe in forma di gola nella parte superiore restando illuminata dal sole per breve tempo soltanto intorno a mezzogiorno».
La salita si svolge ora a ridosso della parete della Croda Mosca (fig. 8), fino a quando risulta più saggio spostarsi sul versante orografico opposto con facile arrampicata, per approdare su una comoda cengia che permette di proseguire evitando le mobili ghiaie del centro valle (fig. 9). Percorrendo la cengia, superando agevolmente qualche semplice salto di roccia e sempre tenendosi sul versante orografico sinistro della valle, si supera finalmente l’impervia strozzatura e si entra nella parte apicale della Val de le Bance, decisamente più amena e gradevole (fig. 10).
La tentazione di risalire questo magnifico nuovo ambiente è forte ma non è questa la via da seguire oggi; si devono salire, invece, le facili roccette che si ergono sulla destra (sinistra orografica), fino ad approdare ad un largo e pianeggiante crinale che separa la val de le Bance da un’ampia conca che poi degrada per ripidi pendii in val Cristallino (fig. 11). Tale postazione ci offre a settentrione un panorama senza pari, con insolita prospettiva delle Tre Cime di Lavaredo (fig. 12). Si scorge nitidamente, inoltre, la cengia Raule che taglia la parete giallastra del Cristallino di Misurina (fig. 13).
È ora opportuno mettersi in sicurezza: per raggiungere la cengia, infatti, si arrampica con facili passaggi di I° ma con una certa esposizione sulla conca sottostante (fig. 14).
In pochi minuti, giungiamo in cengia, ai piedi della parete. Il versante orientale della cengia Raule non è proprio quanto di più comodo si possa immaginare. La cengia è stretta, in leggera discesa; la parete che si erge sopra di noi ci spinge in fuori e l’esposizione sulla conca sottostante gioca il suo fattore psicologico (fig. 15). Progrediamo, legati in conserva corta, transitando in un paio d’occasioni carponi per mantenerci il più possibile aderenti alla parete (fig. 16 e 17), fino a raggiungere lo sperone settentrionale della cengia, che finalmente si apre in un comodo balcone di ghiaia (fig. 18). Funge da ometto un pesante fondello di proiettile della prima guerra (fig. 19).
Una volta aggirato lo sperone settentrionale della cengia Raule, affacciandosi sulla val Cristallino, la cengia prosegue, ampia ed in leggera salita, lungo la parete occidentale del Cristallino, in direzione dell’omonima forcella bipartita (fig. 20).
La progressione non presenta difficoltà alcuna, fino ad un repentino restringimento della cengia, con successiva interruzione della medesima nel vuoto. A distanza di poco meno di un metro, la cengia ricomincia, franosa. Sappiamo che sull’altra sponda dovrebbe trovarsi un vecchio chiodo… si tratta però di arrivarci sull’altra sponda! Ed ecco qui il deus ex machina, Edoardo! Con ferma precisione e sangue freddo, traversa in spaccata il baratro ed arrampica agevolmente sulla sponda franata della cengia. In pochi secondi individua il chiodo ed assicura noi tutti (fig. 21)! Sotto un profilo tecnico, il passaggio non risulta difficile: si tratta di effettuare una spaccata con piede su comodo appoggio per poi scendere di poco meno di un metro su più ampi appoggi per i piedi e di lì rimontare la cengia.
Una volta assicurati, Paolo approccia il salto (fig. 22) ed infine è il turno del sottoscritto che chiude la cordata (fig. 23).
Il passaggio chiave indicato è collocato circa a metà della cengia Raule. Superatolo, la cengia torna ad essere agevolmente percorribile, spesso ampia (fig. 24), talvolta richiedendo il superamento di brevi ripidi tratti dal fondo friabile (fig. 25) ovvero piccoli nevai (fig. 26 e 27).
La cengia Raule volge ormai al termine, conducendo nella parte apicale del canalone orientale che sovrasta la val Cristallino. Si supera un breve ripido tratto (fig. 28) che conduce sulle nevi del canalone e qui comincia una divertente discesa sulla morbida neve, che quasi inviterebbe alla corsa 😉 (fig. 29).
La discesa lungo la val Cristallino quasi ci permette di sciare, per brevi momenti, sul mobile fondo del ghiaione. La val Cristallino è una miniera di reperti bellici. Resti di granate e residuati sono disseminati in ogni dove tra le ghiaie, confermando ancora una volta quanto avevamo riscontrato nell’avventura del 30 ottobre 2021: la val Cristallino è una valle inaccessibile e completamente deserta, non frequentata da anima viva. Le distanze sembravano più corte… ci impieghiamo un’eternità a percorrere tutta la lunghezza della valle (fig. 30) fino ad immetterci nel greto del rio che raccoglie le acque di fusione dell’intera valle. Scendiamo lungo il solco dissestato del rio, che presto diventa asciutto, fino a raggiungere un grande masso con dei sassi posti sopra a mo’ di ometto (fig. 31): tale segnale preannuncia un sentiero che, pochi metri a valle, si dirama sulla destra per inoltrarsi tra i baranci (fig. 32), conducendo in breve all’ampia traccia percorsa all’andata in direzione della val Popena Alta. Appena montati su tale traccia, sarà opportuno deviare a sinistra giungendo in breve alla lapide commemorativa e, quindi, al ponte de la Marogna.
DIFFICOLTÀ COMPLESSIVA: EEA+. Da Forcella Cristallino alla spalla meridionale del Cristallino di Misurina: AD-
Traversata alpinistica lunga e fisicamente molto impegnativa. Da forcella Cristallino alla spalla meridionale del Cristallino di Misurina, necessità di alternare progressione in conserva con soste da allestire con chiodi, affrontando passaggi fino a III+ (non v’è presenza di spit).
DISTANZA: ca 20 Km – DURATA: 11 h – DSL: 1434 m D+
DATA: 30 ottobre 2021
PREMESSE
Chiudiamo la stagione “estiva” con l’itinerario più esplorativo e, sicuramente, più difficile dell’anno: la traversata della Val Cristallino, fino a forcella Cristallino, per poi raggiungere la spalla meridionale del Cristallino di Misurina aprendo una nuova via che, per temporanea assenza di estro poetico chiamiamo “Cristallino Ovest”. Dalla cima del Cristallino di Misurina, discesa per la via normale, aperta da Paul Grohmann e l’albergatore di Carbonín Georg Ploner il 16 agosto 1864, fino alla Forcella de Le Bance. Dalla forcella, traversata in discesa della Val de Le Bance e chiusura dell’anello. Un’avventura fisicamente molto impegnativa, anche perché per il 95% del giro si cammina sempre fuori sentiero, su fondo impervio, con pendenze spesso sostenute, specie nella discesa verso S da Forcella Cristallino. Un itinerario che richiede necessariamente l’uso della corda e di quanto necessario per approntare le opportune soste (chiodi da fessura e blocchi da incastro). Giunti in Forcella Cristallino, qualora non si gradisse affrontare la via “Cristallino Ovest”, è possibile scendere fino alla confluenza con il canalone che scende da Forcella Michele; se da un lato si evita l’arrampicata in salita, dall’altro non ci si può però esimere dalla disarrampicata in discesa della seconda metà inferiore del ripido e dirupato canale che scende da Forcella Cristallino. La salita del canalone che scende da Forcella Michele è invece più agevole, nonostante sia necessario affrontare un salto di roccia alto circa quattro metri, in corrispondenza della strettoia tra la parete S del Cristallino di Misurina e la parete N della dorsale di Popena (per maggiori dettagli, si veda la relazione sulla discesa del canalone di Forcella Michele, svolta a luglio 2021). Compagno d’avventura è oggi Edoardo, delle Guide Alpine di Cortina, con cui abbiamo avuto il piacere di condividere l’ascensione della Furcia dai Fers da Tamersc appena quindici giorni fa e che si è nuovamente reso disponibile ad affrontare un itinerario esplorativo che, fin da subito, si è rivelato particolarmente avventuroso.
RELAZIONE DELL’ITINERARIO
Lasciata l’auto presso il ponte de la Marogna, 1472 m, si traversa il greto asciutto della Val Fonda e ci si addentra subito nel bosco, sul versante orografico destro. Dopo poche decine di metri, il bosco si dirada e si cammina ora su una frana, risalendola ancora per poche decine di metri, sino a che si individua una traccia che si immette nuovamente nel bosco. La traccia è piuttosto evidente ed in breve conduce alla c.d. “lapide della Valfonda”, riscoperta e restaurata nel 1982. La lapide, datata 31 agosto 1916, reca incisi 269 nomi, tutti i componenti della 6a Compagnia, facente parte della Brigata Umbria, del 53° Reggimento di Fanteria Vercelli (fig. 1).
Si continua a seguire la traccia, ora leggermente in salita, tenendo sulla destra il rio che funge da spartiacque della Val Cristallino. Intorno a quota 1600 m, si abbandona la traccia e si cerca di deviare verso S (destra), aprendosi un varco tra i baranci. (ndr: a posteriori, la corretta via consiste nel procedere dentro il bosco lungo la traccia, senza abbandonarla. Poi, quando la traccia inizia a procedere su falsopiano, si innesta a monte nella traccia principale un sentierino: questo sentierino consente di raggiungere in breve il greto del torrente). La soluzione migliore è scendere quanto prima sul greto del rio. Noi abbiamo invece temporeggiato, fino quasi a raggiungere le pendici rocciose settentrionali della Croda de Le Bance, con grande fatica facendoci strada tra i mughi. Ritrovato finalmente il greto, lo si risale senza possibilità di errore. Ci meravigliamo, quando troviamo infisso perpendicolare nel greto del rio un binario di rotaia, probabilmente della prima guerra mondiale (che ci fa una rotaia qua???) (fig. 2).
Si continua la risalita del greto, sino a che si apre finalmente di fronte a noi la visione della Val Cristallino, in tutta la sua interezza (fig. 3). La salita avviene sempre in ombra ma senza trovare traccia di ghiaccio sul fondo; sebbene al ponte de la Marogna il termometro segnasse -4°C, il clima è particolarmente secco, da giorni, e non v’è umidità che ghiaccia la superficie delle pietre che calpestiamo. La Val Cristallino è davvero una valle deserta, esplorata a fine dell’800 dai primi scalatori che affrontavano la salita del Cristallino di Misurina. Questi, tuttavia, non percorrevano interamente la valle, fino alla Forcella Cristallino, ma la abbandonavano verso metà, per salire, verso E, alla sella che separa le pendici N del Cristallino di Misurina dalla Croda de Le Bance. Da questa sella, salivano poi al Cristallino di Misurina attraverso la parte sommitale della Val de Le Bance. Scriveva W. Eckerth nel 1876:
«Chi vuol salire in vetta al Cristallino ha a disposizione due vie che dapprima portano insieme, su per la Val Cristallino, ad una sella profondamente incassata nella dorsale principale del Cristallino, fra il “Kofl” (nda: Cima Le Bance) che costituisce l’ultimo rilievo a nord di questa dorsale e la cima del Cristallino. All’inizio estate, di solito, si scavalca questa sella e si preferisce continuare per la Val Banche che in questa stagione, per lo più, è ancora piena di neve; a metà estate e in autunno, invece, quando la Val Banche è ormai senza neve fino in alto e perciò difficile da percorrere, si sale in cima direttamente dalla sella per il ripido versante nord delle rocce terminali».
W. Eckerth, Il Gruppo del Monte Cristallo, 1891, Ed. La Cooperativa di Cortina, 1989.
Aggiungeva Eckerth una breve descrizione della Val Cristallino, pronunciandosi come segue: «Dalla forcella, che appare bipartita da un roccione centrale, ripidi canaloni nevosi scendono su un circo di ghiaie e sfasciumi. Questo circo, a sua volta, ha varie diramazioni ed è in parte coperto di neve e ghiaccio».
Noi scegliamo di non seguire le istruzioni di W. Eckerth ma di percorrere invece interamente la Val Cristallino, fino all’omonima forcella. Giunti là dove la valle si restringe improvvisamente, la pendenza inizia ad incrementare drasticamente e l’incedere sul ghiaione, il cui fondo è compatto e scivoloso, risulta sempre meno agevole. Procediamo, quindi, dapprima tenendoci all’estrema destra del ghiaione, sfruttando i generosi appigli che offre la parete rocciosa, per poi sfruttare una comoda fessura che ci permette di montare sopra il costone roccioso che costeggia il ghiaione (fig. 4, 5, 6 e 7). In verità, pochi metri dopo la fessura su cui saliamo, si trova un accesso molto più semplice, che non richiede di arrampicare, e permette di salire sul costone roccioso ancora più facilmente. Su questo terreno la progressione risulta sicuramente più comoda!
Ancora una volta, realizziamo quanto la valle che stiamo traversando sia remota e selvaggia; ad ogni passo, troviamo reperti bellici di ogni sorta, che lasciamo in loco a memoria degli aspri combattimenti che tormentarono questa valle, contesa tra italiani e austriaci, nel corso della prima guerra mondiale. Giungiamo ora ad un bivio o, meglio, alla confluenza di due canali. Il canale più a sinistra (E), appare stretto e coperto nella parte sommitale di neve. Il canale di destra, invece, sembra meno ripido e già intravediamo Forcella Cristallino baciata dal sole. Edoardo traversa la confluenza per verificare la percorribilità del canale a E (fig. 8) ma, dopo una breve perlustrazione, conveniamo di salire il più ampio canale di destra.
Iniziamo ora una salita che si rivela da subito tutt’altro che semplice. Il terreno è instabile e ad ogni passo muoviamo scariche di pietre. Scegliamo quindi di salire su due linee diverse: Edoardo, alla base della parete di sinistra (fig. 9 e 10), mentre io mi porto alla base della parete di destra, iniziando una dura salita che, tecnicamente, sembra più essere un lungo traverso in diagonale delle pendici rocciose (fig. 11).
Finalmente, giungiamo in Forcella Cristallino. Una luce violenta, accompagnata da un teso vento che si incanala in forcella, mi riempi gli occhi che, da ore, erano ormai abituati all’ombra. Tempo di abituare gli occhi alla nuova luce e metto a fuoco il luogo in cui siamo giunti. Forcella Cristallino è una minuscola sella che, sul versante S, degrada drasticamente in un ripido e stretto canale, marcio e dirupato. Il versante S scende così ripidamente che potremmo sederci a cavallo della sella (fig. 12). W. Eckerth lo descriva a fine ottocento come «un canalone roccioso che scende verso il bordo settentrionale del ghiacciaio di Popena» (si pensi a quanto è arretrata oggigiorno la fronte del ghiacciaio!!!). Visto dal basso, nei pressi della confluenza con forcella Michele, veniva descritto come
«un canalone che sale ripido ad una forcella divisa in due da un roccione centrale. Sul ramo sinistro della forcella si eleva la cima più alta dello sperone occidentale del Cristallino, mentre sul ramo destro sorgono le rocce della cima principale».
Entrambi siamo sorpresi; non ci aspettavamo un terreno così poco praticabile. Alla base del canale, nell’ombra, intravediamo la confluenza con l’angusto canale che scende da Forcella Michele, già percorso a luglio in discesa per esplorare il circo glaciale del ghiacciaio di Popena. Non ci perdiamo d’animo (almeno ora staremo un po’ al sole!) e ci imbraghiamo per calarci nel canale (fig. 13).
Edoardo appronta un ancoraggio intorno a un solido masso ed io inizio la disarrampicata. I primi metri del canale sono terrosi ed il piede solca piacevolmente il fondo. Dopo pochi metri, tuttavia, il terreno diventa roccioso. Ogni appiglio che prendo sulla parete mi si sgretola in mano e, complice il vento che si incanala nella gola, mi ritrovo presto occhi e bocca pieni di polvere. Tutto quello che tocco è marcio e, prima di poter fare affidamento su un appiglio, devo letteralmente smontare la parete per trovare qualcosa di solido! Procediamo con singoli tiri di una ventina di metri: appena riesco a trovare un anfratto riparato nella roccia, mi ci inserisco, così che Edoardo possa scendere a sua volta, senza che le scariche di pietre provocate dal suo passaggio mi investano. Con questa tecnica, facciamo tre calate. La prima e la seconda calata risultano abbastanza semplici da affrontare in disarrampicata (fig. 14, 15 e 16). La terza, invece, più ripida, prevede il superamento di un salto di roccia di circa un paio di metri d’altezza, ben levigato dalle acque piovane e privo di appigli (fig. 17 e 18).
Tutto ciò avviene al cospetto della magnifica cima del Popena, 3152 m, dell’Ago Loschner, 2939 m, di Punta Michele, 2898 m, e… del magico Ghiacciaio di Popena, la cui fronte abbiamo esplorato a luglio di quest’anno (leggi la relazione dell’itinerario) e che in questo periodo appare, naturalmente, meno innevato (fig. 19).
Conclusa la terza calata, ci troviamo a dover scegliere tra due itinerari alternativi. Il più “sicuro” e scontato prevederebbe la discesa fino alla confluenza con il canale che scende da Forcella Michele. Conosco quel canale, per averlo percorso in discesa tre mesi e mezzo fa: è ripido, ma non troppo, ed il fondo, per lo meno fino alla strettoia di metà canale, è ghiaioso. Chiaramente, tale soluzione implicherebbe un’ulteriore perdita di quota, per poi dover riguadagnarla superando una nuova forcella (Forcella Michele) con dura salita. Alternativa più intelligente ma di per certo più audace è traversare il costone della montagna, in direzione O, trovando una via che ci permetta di arrivare alla spalla meridionale del Cristallino di Misurina (dove, per intenderci, conduce il sentiero che sale dalla Val Popena, attraverso una nuova e comoda ferrata). L’idea è allettante ma non sappiamo quali incognite potremmo trovare. Alla fine, poiché la fortuna aiuta gli audaci – per lo meno sulla carta 🙂 – optiamo per la seconda strategia. Procediamo quindi di conserva, traversando un costone roccioso con saliscendi su agevole cengia (fig. 20), per poi salire di pochi metri, individuando un’ulteriore cengia (fig. 21).
Arriviamo quindi ad una parete che forma una sorta di diedro. Da qui, Edoardo sale per circa una decina di metri e predispone una prima sosta (fig. 22 e 23).
La fatica inizia a farsi sentire… sarà che non arrampicavo da dieci anni :-), ma sento i muscoli che rispondono pigramente per l’ipossia (e siamo solo a 2500 metri circa!). Inoltre, sono completamente sudato – la parete è in pieno sole – e disidratato. Mi sento un po’ mentalmente fiaccato ma realizzare che stiamo aprendo una nuova via mi rinfranca l’animo ed arrampico cercando di controllare bene la respirazione e muovermi il più fluidamente possibile. Superato il primo tiro, giungiamo in una ampia e comoda cengia, dove posso tirare un po’ il fiato. Ora siamo di fronte ad una parete verticale di almeno un’altra decina di metri. Edoardo la scala con la stessa facilità con cui si potrebbe portare a spasso un cagnolino con una mano mentre con l’altra mano si chatta (fig. 24). Sono impressionato dalla forza e dalla tecnica del mio odierno compagno d’avventura. Non mi resta che contemplare, ammirato, ed imparare (fig. 25).
Giunto in cima alla parete verticale, sento Edoardo approntare una seconda sosta. Questa volta, piantando i chiodi da roccia che, saggiamente, ha portato con sé. Inizio quindi a scalare ma, per la solita legge sull’entropia, accade l’inghippo: la corda si incastra in una fessura rocciosa mentre sto svolgendo un traverso diagonale in salita, creando un angolo che, in caso di caduta, mi farebbe violentemente “sbandierare”, prima di andare in tiro. Tenendomi saldamente all’appiglio con una mano, cerco di liberare con l’altra la corda, dandole delle poderose frustate che, tuttavia, non la svincolano dall’incastro. Mi tocca disarrampicare un paio di metri e riprovare a sbloccare la corda che non ne vuole sapere di liberarsi. Ritorno quindi alla base della parete e, solo nel momento in cui riporto la corda in linea verticale, riesco a tirarla fuori dall’abbraccio dello spigolo malandrino. Questa operazione deve essere durata almeno cinque minuti, che mi hanno ulteriormente prosciugato di energie. Ciononostante, l’arrampicata di questo tratto verticale, che Edoardo valuta essere un III+, mi offre grandissima soddisfazione. Dalla sommità del salto verticale, si procede agevolmente in leggera salita su una stretta cengia, in conserva, fino a raggiungere la cresta della la spalla meridionale del Cristallino di Misurina. Qui, finalmente, mi reidrato e mangio un po’ di frutta secca. Mi sembra di rinascere. Siamo entrambi profondamente soddisfatti di aver aperto una nuova via sulla parete ovest del Cristallino di Misurina (la nuova via, in verità, l’ha aperta Edoardo. Io mi sono limitato a seguirlo. Nonostante ciò, il nobile Edoardo lascia a me l’onore di battezzarla!). Sarà trascorsa almeno un’ora e mezza da Forcella Cristallino ed il sole di fine ottobre inizia a velarsi, sopra le maestose vette del Cristallo e del Piz Popena (fig. 26). Nel 1864, Grohmann descriveva così il panorama che ora ammiriamo: “la vista giù, verso Carbonin e Landro, è bella, quella sul Piz Popena e sul Cristallo è grandiosa e selvaggia“.
Ora si sale lungo la spalla meridionale, su traccia obbligata e ben indicata, superando sulla sinistra alcune gallerie di guerra, fino a giungere in breve ed agevolmente alla vetta del Cristallino di Misurina, 2775 m (fig. 27 e 28)!
Dalla vetta, scendiamo ora in direzione E, verso Forcella de Le Bance, per la stessa via di salita scelta da Grohmann e Ploner nel 1864, data della prima ascensione ufficiale. La discesa è abbastanza agevole; un alternarsi di strette e brevi cenge con facili roccette da disarrampicare. È sufficiente prestare un po’ di cautela a non scivolare sulla ghiaia del pendio. Giunti in prossimità di Forcella de Le Bance, la parete diventa più ripida (fig. 29) e le strette cenge più esposte. Preferisco chiedere a Edoardo di procedere in conserva e, così, superiamo facilmente anche gli ultimi metri.
Forcella de Le Bance, al contrario di Forcella Cristallino, è una comoda ed ampia sella che mette in comunicazione la Val de Le Bance con la Val de Le Barache, già visitata a luglio di quest’anno (maggiori dettagli sull’itinerario). La Val de Le Bance appare però parzialmente coperta da neve polverosa ed il terreno è molto più duro e compatto di quello trovato nella parallela Val Cristallino. Quanto aveva ragione W. Eckerth quando, nel 1879, descriveva la Val de Le Bance come una
«valle esposta a nord e resta in ombra quasi tutto il giorno. Chiusa ai lati dalle ripide pareti delle dorsali del Cristallino, essa si restringe in forma di gola nella parte superiore restando illuminata dal sole per breve tempo soltanto intorno al mezzogiorno».
Ciò si traduce, per me, in una discesa particolarmente faticosa… sarà che le gambe iniziano a sentire la fatica… ma non riesco a sentirmi sicuro ad ogni passo su questo terreno (fig. 30).
La discesa continua, estenuante, fino alla sella che mette in comunicazione la dorsale del Cristallino di Misurina con la Croda de Le Bance. Da questa altezza, non troviamo più neve ma il fondo resta particolarmente insidioso, durissimo, e lo scarpone continua a non riuscire a scavare il minimo gradino in discesa (fig. 31 e 32).
A questo punto, il pendio diventa sempre più moderato e, con esso, diminuiscono le mie difficoltà di progressione. Ci troviamo però di fronte ad un salto di roccia, alto circa un paio di metri. Non possiamo aggirarlo e siamo costretti a preparare un ancoraggio intorno ad un pesante masso, per effettuare una veloce calata.
Ormai inizia ad imbrunire e siamo effettivamente piuttosto stanchi. Ci troviamo circa a metà della Val de Le Bance. Accendo quindi la lampada frontale ed iniziamo un cammino infinito sulle ghiaie nella parte finale della valle, fino ad addentrarci nei tanto amati baranci, dove perdiamo la traccia (che invece prosegue sul versante idrografico destro della valle) e procediamo per un tempo che mi sembra interminabile verso valle, correggendo di tanto in tanto la traiettoria e seguendo come linea ideale lo spartiacque della Val de Le Bance (fig. 36).
Dopo un’infinita lotta dentro i mughi, intercettiamo, finalmente, la traccia che, nel bosco, mette in comunicazione Malga Mosca con il ponte de La Marogna, dove abbiamo l’auto. La traccia ci sembra un’autostrada, dopo undici ore di cammino fuori sentiero. Percorrendola in direzione NO, giungiamo finalmente alla meta, alle ore 20.20, stravolti ma soddisfatti!
DIFFICOLTÀ COMPLESSIVA: EEA. Discesa di Forcella Michele: F+ (traverso a metà del canale di Forcella Michele: II-III grado); salto di roccia in Val Fonda: PD (al massimo qualche passaggio di II grado). DURATA: 8.30 h – DISTANZA: 19 km – DSL: 1100m D+
PREMESSE
Nell’agosto del 2020, ho iniziato con l’amico Paolo l’esplorazione della Val Fonda, che particolarmente si presta ad innumerevoli interpretazioni alpinistiche in stile “Windchili”. Traversato l’anno scorso il ghiacciaio del Cristallo, e l’omonimo passo (chi volesse può curiosare qui), decidiamo quest’anno di traversare Forcella Michele (2591m), che separa la dorsale del Popena dal massiccio del Cristallino, ed esplorare poi il ghiacciaio di Popena, comunemente considerato “estinto”. L’attraversamento estivo di Forcella Michele, con calata nella conca glaciale sottostante, non trova precedente alcuno online, fatta eccezione per qualche scarna descrizione di salite invernali con sci d’alpinismo. La guida Camillo Berti del 1991 riporta che il canalone è percorribile «ma escursionisticamente difficile ed assolutamente sconsigliabile in presenza di neve dura o ghiaccio, senza adeguata attrezzatura (ramponi, piccozza e corda)» (C. Berti, Dolomiti della Val del Boite, Nuove edizioni Dolomiti, p. 195). La cartografia non indica alcuna traccia. Solo sulla carta Kompass edizione 2003, è indicata una traccia che dalla Val Fonda conduce alla dorsale del Popena. Non, tuttavia, a Forcella Michele. Le immagini satellitari, invece, permettono di apprezzare l’esistenza di un traccia che dalla Val Fonda sale alla conca del ghiacciaio di Popena, dirigendo apparentemente a Forcella Michele o Forcella Cristallino. Tale vecchia traccia, tuttavia, risulta improvvisamente interrotta essendo stata sommersa dalle colate di ghiaie scese dalle pareti sovrastanti. Sulla base di simili presupposti, non possiamo esimerci dal tentare questa nuova ed inedita traversata estiva. Lo stesso vale per l’esplorazione del ghiacciaio di Popena. Trovandosi nascosto alla vista dei rari escursionisti che si cimentano nella traversata del ghiacciaio del Cristallo (e soprattutto non conducendo da nessuna parte), resta una meta assolutamente remota e di scarso interesse escursionistico. Coglieremo inoltre l’occasione per fare una capatina anche al ghiacciaio del Cristallo, al fine di verificarne lo stato e confrontarlo con quanto esplorato l’estate scorsa. In ultima, proveremo a cercare quella via alternativa che ci viene suggerita per superare il salto di roccia che conduce nella parte inferiore della Val Fonda, evitando di entrare nella gola dove scorre la cascatella. In occasione di questa uscita, per dare maggiore forza e sicurezza alla “spedizione esplorativa”, si è unito a noi, accettando con entusiasmo la sfida, anche Giacomo, guida alpina di Cortina!
DESCRIZIONE DELL’ITINERARIO
Parcheggiata l’auto presso il Ponte Val Popena Alta, 1658m, imbocchiamo il sentiero 222 che, costeggiando il Rio Popena, risale gradualmente la Val Popena Alta. Al momento, presso il Ponte Val Popena Alta, un cartello comunica che il sentiero 222 è chiuso al transito. È probabile che tale indicazione trovi ragione in un leggero smottamento del costone sul versante orografico sinistro del Rio Popena, che ha cancellato il sentiero, a pochi minuti dall’imbocco del medesimo. Si procede comunque agevolmente, senza particolare difficoltà e pericolo, sulla stabile ghiaia della frana, per pochi metri, sino a riguadagnare l’evidente traccia del sentiero. Il sentiero continua ora dentro il greto ghiaioso del Rio Popena (fig. 1) fino a rimontare in leggera salita sul versante orografico sinistro, staccandosi così dal torrente.
Qui la deviazione non è evidente, tant’è che ci siamo trovati in un’amena radura prativa, circa una cinquantina di metri oltre il bivio (fig. 2).
Ritrovato il sentiero, prendendo gradualmente quota, si apre un magnifico panorama sulla Val Popena Alta (fig. 3) e, di lì a breve, si arriva all’innesto del sentiero 222a, che inizia la risalita in direzione O.
Si giunge quindi ad un bivio, dove una freccia sull’erba allestita con dei sassi ci indica di tenere la sinistra, procedendo sul sentiero più basso (fig. 4). Mantenendo sulla sinistra il Campanile di Val Popena Alta, il sentiero 222a conduce, risalendo con ampi tornanti (fig. 5), alla Val de le Barache, valle adibita durante la prima guerra mondiale a postazione di baracche e teleferiche che salivano alla sovrastante Forcella Michele, meta della nostra odierna salita (fig. 6 e 7).
Giunti ai piedi delle pareti del Cristallino, si trova una recentissima via ferrata che consente di evitare la salita all’interno del canalone detritico (salita precedentemente utilizzata per guadagnare quota). La ferrata si rivela estremamente piacevole, con semplici passaggi aerei sempre però su roccia ben solida e pulita, senza mai trovarci in esposizione (fig. 8, 9, 9a, 9b).
Terminata la via ferrata, si traversa uno stabile ponte di legno nei pressi di un enorme chiodo di ferro utilizzato probabilmente durante la prima guerra mondiale per l’assicurazione e le calate di materiale (fig. 10). Si sale quindi a zig zag tra piccole cenge franose e canali detritici, sempre comunque senza alcuna esposizione, sino a giungere, intorno a quota 2630m, presso i resti di alcuni baraccamenti tra tronchi di larice, chiodi e filo spinato (fig. 11 e 12). Scriveva Antonio Berti:
«dal villaggio (ndr: Val delle Baracche) un ardito sentiero ricavato con sostegni, scavi, riporti di notevole impegno, risaliva a zig zag la parte superiore del valloncello per poi arrampicarsi sulle rocce del versante orientale del Cristallino fino a raggiungere la cresta meridionale del monte poco sopra Forcella Michele».
A. Berti, 1915-1917 Guerra in Ampezzo e Cadore, Mursia, 1992, pag. 116.
Dopo una breve pausa ristoratrice iniziamo la discesa verso Forcella Michele, avvalendoci di comode tracce e transitando nei pressi di due caverne scavate nella roccia durante le prima guerra mondiale. Forcella Michele è ora in vista. Per raggiungerla è necessario effettuare un breve traverso diagonale su terreno friabile (fig. 13) ed eccoci in forcella, a 2591m (fig. 14).
Ora inizia la parte più difficile 🙂 nonché l’incognita principale della nostra esplorazione. L’aspetto positivo è che il canalone che scende verso NO dalla Forcelle Michele non mostra una pendenza particolarmente sostenuta. Di contro, il terreno si rileva piuttosto insidioso, marcio e frammisto di grosse rocce franate dai ripidi pendii sovrastanti (fig. 15, 16, 16a). Non è quindi possibile ipotizzare una spensierata e fluida discesa su ghiaione… anche perché dopo una ventina di metri inizia la neve, che copre ancora tutto il canalone fino alla sua base! Procediamo, quindi, con particolare cautela, senza peraltro indossare i ramponi, visto che la neve non è poi così compatta (fig. 17 e 17a). Nel mentre, veniamo avvolti dalla nuvola ed inizia a piovere! L’ambiente è severo; sulle pareti del Cristallino scorgiamo postazioni di guerra sulle pendici del Cristallino e, nei primi metri di discesa, il ghiaione ci svela un caricatore di fucile, una pallottola e filo spinato in abbondanza. Presto detto: esattamente qui si trovava la linea del fronte italiano durante la prima guerra mondiale!
Ed ecco il primo ostacolo! Là dove la gola si restringe, la neve alla base si è sciolta, erosa dalle acque piovane convogliate dalle sovrastanti pareti. Ciò ha comportato che si sia venuto a creare un ben poco affidabile ponte di neve, con sotto un bel buco di oltre due metri. Giacomo scende in perlustrazione sotto il ponte di neve, per cercare un possibile passaggio, ma il salto diventa ancora più profondo e ci andremmo a complicare ulteriormente la vita (fig. 18). Non ci resta che scegliere la via più ripida e predisporre un ancoraggio per calarci per circa cinque metri al di là di un enorme masso squadrato (fig. 19). Osservandone le forme ben squadrate, suppongo trattasi verosimilmente di un masso franato da una delle sovrastanti cime che è rotolato fino ad incastrarsi nella gola. Sarei propenso a scommettere che Camillo Berti non ha rinvenuto tale “occlusione”, con conseguente salto a valle, nelle ricognizioni svolte negli anni ’80, altrimenti avrebbe classificato la via come non escursionisticamente percorribile.
Iniziamo quindi la calata. Apre il sottoscritto che, piuttosto che calarsi, si cimenta in un traverso lungo la parete marcia, pulendo detriti e ricavando appigli apparentemente affidabili (fig. 20). Segue Paolo e chiude Giacomo calandosi in corda doppia (fig. 21 e 22).
Superato il salto di roccia, la discesa non presenta ulteriori ostacoli e si svolge agevole sino all’intersezione del canalone che scende da Forcella Cristallino (fig. 23 e 24), dove deviamo con decisione a destra, verso S, così tenendoci a ridosso delle pareti della dorsale del Popena, uscendo dal canalone innevato.
Decidiamo di prendere come punto di riferimento una curiosa “porta” (fig. 26) che conduce ad un comodo e breve ghiaione (fig. 27), dal quale poi traversiamo un nevaio e, con facile discesa, approdiamo sull’antico terreno morenico del ghiacciaio di Popena.
IL GHIACCIAIO DI POPENA
Scriveva W. Eckerth nel 1886, esplorando il gruppo del Cristallo in compagnia della guida Michel Innerkofler:
«il ghiacciaio di Popena si trova ai piedi delle pareti Nord-occidentali della dorsale del Popena e si estende da una quota di 2600m fino a meno di 2500m. A seconda della stagione appare coperto di neve o da uno strato di ghiaia e può facilmente esser preso per un semplice circo di ghiaie e neve».
W. Eckerth, Il gruppo del Monte Cristallo, 1891, Ed. Cooperativa di Coortina, 1989, p. 163
Ulteriormente Eckerth sottolineava che «il ghiacciaio di Popena è tanto nascosto quanto impervio e quindi non deve far meraviglia che la sua esistenza sia quasi sconosciuta» (W. Eckerth, Id., p. 133). Effettivamente, salendo per la Val Fonda, non è possibile avere visione della conca glaciale superiore conchiusa ai piedi delle pareti N – NO del monte Popena. Sarà forse questo il motivo per cui, dagli anni ’30 agli anni ’60, i glaciologi non hanno rivolto approfondite attenzioni al ghiacciaio di Popena. Le ultime significative osservazioni prima di questo “vuoto” temporale, furono svolte dal glaciologo Celli, il quale, nell’agosto del 1933, rilevava che «la fronte glaciale arriva col suo lobo più avanzato, coperto da detriti, alla quota 2370 circa, presso un grosso masso (…)». (Bollettino del Comitato Glaciologico Italiano, vol. 14, 1934). Bisogna poi aspettare i primi anni ’60, per apprezzare una nuova e significativa manifestazione di interesse verso tale apparato glaciale. In particolare, con riferimento agli anni 1960-61, il glaciologo Piera Nicoli osservava che il ghiaccio di Popena era “in regresso”, con una superficie di 19 ettari ed un “innevamento frontale scarso” (Bollettino del Comitato Glaciologico Italiano, 1962). A distanza di venticinque anni, nell’agosto del 1986, il glaciologo Perini approfondiva ulteriormente il tenore delle osservazioni e rilevava che
«la crepacciatura è evidente solo sulla sinistra, a quota 2530, dove il ghiaccio aggira uno spuntone roccioso. La zona frontale è sempre sommersa da detriti morenici, che lasciano solo in parte intravvedere il ghiaccio». Riscontrava, inoltre, un «leggero ritiro frontale, anche se tutto l’apparato glaciale sembra stabile; non si notano archetti morenici frontali
Geografia Fisica e Dinamica Quaternaria, vol. 10, 1987
Nell’agosto dell’anno successivo, il Perini registrava quanto segue:
un leggero rigonfiamento evidenzia, quest’anno, nettamente la fronte; corpi di ghiaccio morto, staccatisi presumibilmente di recente, sono presenti nella parte destra frontale. I crepacci sono sempre ben evidenti sulla sinistra orografica, nella parte alta, alcuni profondi 8-9 metri.
GFDQ, vol. 11, 1988
Pochi anni dopo, nell’estate del 1991, il Perini osservava che «la situazione di questa ghiacciaio è di una certa stabilità, dovuta anche al riparo esercitato dalle alte pareti del Piz Popena». (GFDQ, vol. 15, 1992) e, nell’agosto del 1993, «sempre più massiccia la copertura detritica che maschera la zona frontale; al di sopra del grande accumulo morenico situato poco a monte, invece, il ghiaccio è abbastanza pulito».
Successivamente, nell’agosto del 1995, Perini rilevava che
«è in aumento il detrito galleggiante; vistose sono alcune bedieres, con cospicua acqua di scorrimento. A monte del grande cono si è formato un laghetto di sbarramento morenico di 70-80 mq, su cui si immerge anche il ghiaccio».
GFDQ, vol. 19, 1996
Nell’agosto del 1996, il glaciologo constatava la diminuzione dello spessore del ghiacciaio, rilevando che «dal confronto fotografico con foto di 15 anni fa, impressionante è ora la notevole riduzione di spessore del ghiaccio, che è di parecchi metri» (GFDQ, vol. 20, 1997). Con la fine degli anni ’90, le misurazioni del ghiacciaio da parte dei glaciologi venivano interrotte, come anticipava il Perini in sede di visita nell’agosto del 1997:
«il detrito galleggiante ricopre ormai gran parte della superficie glaciale e una profonda bédière incide il ghiaccio dal settore centrale sino a quasi alla fronte. (…) Se la situazione di copertura detritica e di infossamento del corpo glaciale si accentueranno nei prossimi anni, sempre più difficilmente si potranno eseguire dei controlli significativi».
GFDQ, vol. 21, 1998
Veniamo quindi alle osservazioni svolte in sede di sopralluogo, in data 18 luglio 2021. Avvicinandoci alla presunta fronte del ghiacciaio di Popena, rileviamo, innanzitutto, un considerevole arretramento della fronte rispetto alle misurazioni svolte nel 1933. In particolare, abbiamo identificato quel “grosso masso” individuato dal glaciologo Celli quale limite della fronte… masso che, sicuramente, non si è mosso di un centimetro in novant’anni! Si è invece sicuramente mossa la fronte del ghiacciaio di Popena, che risulta drasticamente arretrata. Difficile stabilire a che quota sia la fronte, considerato l’importante innevamento residuo e l’abbondante copertura di detrito. In merito, si segnala una recente e significativa frana dalle pareti del Popena, che ricopre la neve dell’ultima stagione invernale. (fig. 31).
Si rileva, inoltre, l’estinzione del laghetto di sbarramento morenico riscontrato dal glaciologo Perini nell’agosto del 1995. Lo stesso laghetto, veniva ancora riportato nella carta Tabacco, edizione 2017. Non è invece più rilevato nelle ultime edizioni. Ritengo di poterne individuare la collocazione corretta, a quota 2300m circa, dove sorge una modesta depressione colma di neve velata di detrito finissimo. È probabile che, in occasione di importanti precipitazioni, questo avvallamento raccolga le acque di confluenza dell’intera conca glaciale del ghiacciaio di Popena (fig. 32). Inoltre, transitando presso i margini del laghetto estinto, si ode nitidamente il gorgoglio delle acque di fusione del ghiacciaio di Popena, che scorrono sotto la neve e si perdono nelle rocce per poi riemergere in Val Fonda. In questo avvallamento, dovrebbe anche confluire un ruscelletto che sorge intorno ai 2600m, sulle pareti poco sottoPunta Michele. Di sicuro, tuttavia, è scomparso il ghiaccio che si immergeva nel laghetto, come da rilevazione del glaciologo Perini nell’estate del 1994.
Considerato lo stato di persistente innevamento residuo, risulta impossibile svolgere ulteriori osservazioni sullo stato del ghiacciaio di Popena. Ciò che si può ipotizzare, anche sulla scorta delle osservazioni svolte dai glaciologi fino agli anni ’90, è che il ghiacciaio di Popena sia tutt’altro che estinto. Se è indubitabile, infatti, che lo spessore del ghiaccio sia drasticamente diminuito negli anni, comportando una significativa regressione della fronte, è altrettanto vero che le continue scariche dalle pareti circostanti hanno agito quale copertura della superficie glaciale. È infatti verosimile che il ghiacciaio di Popena sia ormai rivestito da un’alternanza di strati di detriti franosi, sui quali si deposita la neve stagionale, che a sua volta è stata coperta da detriti franosi nelle stagioni calde, per poi essere nuovamente sommersi dalla neve invernale, e così via. Non potendo svolgere ulteriori osservazioni, decidiamo, muovendo dal crinale più esterno della morena (fig. 33), di aggirare lo sperone di Popena, il più strettamente possibile (fig. 34), e recarci presso la fronte del ghiacciaio del Cristallo, per valutarne lo stato.
Dopo una faticosa risalita dei ripidi e antichi depositi morenici del ghiacciaio del Cristallo, giungiamo finalmente ai suoi piedi (fig. 35). Come per il ghiacciaio di Popena, siamo impossibilitati dallo svolgere le opportune osservazioni sullo stato del ghiacciaio del Cristallo, a causa del persistente innevamento residuo. Per mera curiosità, si osservi il confronto tra l’attuale innevamento, in data 19 luglio 2021, e la situazione riscontrata nell’agosto 2020 (fig. 36). La speranza è che le considerevoli precipitazioni nevose registrate nella stagione invernale 2021 siano tali da aver contribuito a preservare quanto è rimasto dei ghiacciai dolomitici (se non, addirittura, ad incrementarne leggermente la massa!).
IL SUPERAMENTO DEL GRADONE ROCCIOSODELLA VAL FONDA
A questo punto, non ci resta che proseguire per l’ultimo obiettivo: trovare quell’antico sentiero (attrezzato?) che permette di superare il salto di roccia della Val Fonda, senza entrare nella gola con la cascata. A fine ottocento, Theodor Wundt scriveva che, risalendo la Val Fonda, il gradone
«è formato da pareti rocciose verticali, non facili da superare. Anche qui Michel (nda: Innerkofler) aveva raccomandato cautela. ‘Assicurati di trovare la via giusta, altrimenti puoi arrampicarti lì dentro tutto il giorno e non andare oltre».
Questo era il monito del grande alpinista Innerkofler all’epoca. Più recentemente, Camillo Berti scrive che «il passaggio si trova sulla sinistra idrografica ed è caratterizzato da un vecchio piolo di ferro contorto» (C. Berti, Id.). Fabio Cammelli, nella guida “Dolomiti – Monte Cristallo”, scrive che un tempo
«i salti di roccia sotto il circo glaciale superiore della Val Fonda venivano superati salendo a lato delle cascate con le quali l’acqua di fusione del ghiacciaio precipitava verso valle: si trattava di una breve ma non facile arrampicata su rocce sovente ricoperte da un sottile strato di ghiaccio».
Aggiunge Cammelli che nella primavera del 1885, il CAI Alpino Austro Tedesco
«fece sistemare un buon sentiero che dai pressi dell’imboccatura della Val Fonda s’innalzava lungo il fianco sinistro della valle (destra orografica) per poi proseguire a mezzacosta tenendosi alto sopra l’alveo del torrente. Giunti sotto il gradone roccioso (…), il sentiero si portava sull’opposta sponda grazie a una passerella formata da due tronchi, per poi salire alla base del salto roccioso soprastante, che a sua volta veniva superato grazie all’aiuto di una scala a pioli incastrata ad arte nella roccia».
F. Cammelli, Dolomiti – Monte Cristallo, 101% Vera Montagna, Ed. Paolo Beltrame, 2010, p. 92.
Prima dell’allestimento di simile struttura, nel 1862, Paul Grohmann scriveva
«per arrivare al passo (ndr: del Cristallo) bisogna attraversare il ghiacciaio, il cui accesso è all’estremità della Val Fonda lungo l’acqua che proviene dai nevai. Un tempo questo accesso era abbastanza curioso perché occorreva passare carponi attraverso un foro sotto la roccia; ma adesso, a quanto mi è stato detto, il foro è crollato e non esiste più».
Quanto sopra è confermato dallo stesso Eckerth, che nel 1891 scriveva
«Questi salti si superano con l’aiuto di una scala a pioli di legno incastrata con arte nella roccia. Prima che la scala fosse costituita, i salti di roccia si superavano salendo a lato delle cascatelle, un’arrampicata di più di un quarto d’ora a breve distanza dall’acqua spumeggiante, il che, nelle mattinate fredde, non era tra le cose più gradevoli».
Ciò premesso, Cammelli scrive che (perlomeno fino al 2010)
«presso l’imboccatura di un largo e ripido canale, si scorgono tre tronchi di legno posizionati orizzontalmente su piani sovrapposti (…). Il primo tronco di legno è situato circa tre metri più in alto rispetto alla base del canale: lo si raggiunge risalendo un corto ma ripido salto di rocce friabili (talora bagnate; I e II grado). Oltrepassato un secondo tronco, posto poco sopra il primo, si sale più facilmente sino a portarsi all’altezza di un terzo tronco incastrato: da qui non si prosegue più all’interno del canale bensì si continua a sinistra, verso l’esterno, per poi rientrare nella spaccatura lungo una breve e comoda cengetta rocciosa, che corre obliquamente da sinistra verso destra. Seguono due corti gradoni un po’ più ripidi e impegnativi (ma sempre ben appigliati; I e II grado; alcuni spit su cui eventualmente far sicurezza) che consentono di uscire dal canale e di raggiungere, alla propria sinistra, un piccolo pulpito roccioso. In breve, grazie anche all’aiuto di alcuni vecchi fittoni metallici, si superano le soprastanti facili roccette e si perviene al bordo superiore del gradone roccioso di sbarramento della Val Fonda».
F. Cammelli, Id., p. 198
Noi, nell’estate del 2020, non abbiamo trovato alla base del gradone roccioso alcuna traccia del presunto sentiero attrezzato, così come descritto dai sopra menzionati autori, né tantomeno alcuna evidenza dei tronchi citati dal Cammelli. Provenendo dalla conca glaciale superiore della Val Fonda, invece, riscontriamo effettivamente l’esistenza di una traccia di sentiero e qualche ometto, una ventina di metri a sinistra dell’intaglio con la cascata. La traccia interseca presto un non insignificante canale di sfogo di acqua e ghiaia che, nel tempo, hanno completamente eroso il margine superiore del salto di roccia, il quale appare come roccia viva levigata e coperta di detrito (fig. 37).
Si superano un paio di gradoni e ci si trova sullo strapiombo. Da qui, in discesa verticale, si distinguono subito i tre/quattro grossi e vetusti fittoni con anello citati da Fabio Cammelli (un paio abbastanza mobili), entro i quali verosimilmente era assicurata una corda nei tempi che furono (forse installati proprio dal CAI Alpino Austro-Tedesco nell’intervento del 1885) (fig. 38). Organizziamo quindi una prima calata verticale, che ci permette di superare i due primi salti di roccia (fig. 39).
Completata la prima calata, si apre sotto di noi il profondo canale che fende la roccia in diagonale, entro cui, tuttavia, non rinveniamo alcuna traccia dei famosi tronchi descritti da Cammelli nella sua guida. Svolgiamo quindi la seconda calata. L’arrampicata si rivela abbastanza difficile poiché ogni appiglio trasuda acqua e si stacca. Tanto vale calarci di peso, anche per agevolare Giacomo che ci sta facendo sicura presso la sosta allestita sull’ultimo gradone di roccia prima dello strapiombo. Scendo io, poi Paolo (fig. 40) ed infine Giacomo (fig. 41).
A posteriori, resto nel dubbio se sia più conveniente percorrere la via appena svolta oppure la gola con la cascata, come fatto l’anno precedente in agosto. Probabilmente, in salita sceglierei la traccia odierna mentre in discesa ritengo più comodo e diretto scendere per la cascata, calandosi in doppia assicurati al robusto anello infisso nella roccia poco dopo l’ingresso nella gola. Da segnalare, inoltre, l’assenza di ometti o altro tipo di segnalazione volto a indicare l’imbocco del canale di risalita; o lo si conosce, oppure non lo si trova. Ad ogni modo, il salto della Val Fonda resta un ostacolo da affrontare sempre con le dovute cautele, poiché la roccia marcia ed il terreno bagnato riservano sempre qualche imprevisto. La foto scattata dall’amico Riccardo nei pressi di forcella Rauhfofel rappresenta esaustivamente le due possibili soluzioni di salita/discesa. In corrispondenza del cerchio rosso, è infisso il grosso e robusto anello nella roccia per assicurarsi (fig. 41a).
Ciò detto, abbandonata la frana ai piedi del salto roccioso, si ritrova il sentiero che traversa l’intera Val Fonda (fig. 42, 42a e 43).
Inizia ora una lunga discesa, camminando su terreno sempre instabile, lasciando alle spalle la cascata della Val Fonda (fig. 44) e guadando di volta in volta i vari rami del rio, scegliendo la strada che sembra più diretta e con il fondo di sassi meno grossi :-). Si procede fino a che, in corrispondenza del restringimento della gola della Val Fonda, si trova una vecchia traccia, che risale leggermente il costone tra frane e pini mughi, sul versante orografico destro del rio. Trattasi del già menzionato sentiero allestito dal CAI Alpino Austro-Tedesco nella primavera del 1885, che permette un incedere più rilassato e, soprattutto, consente un transito più sicuro in caso di pioggia, evitando di trovarsi nel bel mezzo del restringimento della gola sul greto del rio che ingrossa ricevendo le acque delle pareti circostanti e dell’intero circo glaciale del Cristallo/Popena.
Si arriva, infine, al parcheggio di Ponte de la Marogna, 1470m, dove abbiamo la seconda macchina per rientrare al parcheggio presso il Ponte di Val Popena Alta.
Ecco il video completo dell’itinerario montato ad arte da Paolo!
Per ulteriori informazioni circa il descritto itinerario, e soprattutto per apprezzarne adeguatamente l’intensità e le emozioni, rimando alla lettura dell’affascinante relazione scritta dall’amico Paolo.